di Gigi Montonato. Il trasformismo, malattia endemica della politica italiana, è stato sempre argomento di studio da parte di politologi, storici e politici più virtuosi. Oggi non lo è da meno rispetto al passato. Quel che cambia è che mentre prima era considerato unanimemente un vizio o una necessità, cui si faceva ricorso nella consapevolezza di compiere comunque un’azione poco commendevole, oggi lo si considera un modo come un altro di stare in politica. Tanto per la semplice constatazione che non ci sono più i partiti, non ci sono più le ideologie; tutto è più liquido. E questo è un altro aspetto della grave crisi morale – anzi, preferisco dire culturale – che stiamo attraversando.
Come si fa a non dare ragione alla fronda dem, capeggiata dallo storico Miguel Gotor, che si ribella al più allegro e sfacciato trasformismo di Renzi? Come si fa a non dare ragione alla fronda forzista, capeggiata da Raffaele Fitto, che si rivolta contro il più cinico e arrogante trasformismo di Berlusconi? Già, come si fa? Eppure si fa, si deve fare. Perché esse sono le due ridotte, dalle quali respingere gli assalti sconsiderati di politici geneticamente trasformati, che sarebbe già più dignitoso considerare venduti anziché stupidi e incapaci di collocarsi in un cammino di civiltà politica. Fossero venduti, infatti, starebbero ancora nelle categorie tradizionali e sarebbe poco male; sono, invece, convinti assertori di nuove categorie, ancorché non ancora definite. Ma quali?
Sono figli del vuoto lasciato dalla borghesia. Secondo una lettura sociologica di Giuseppe De Rita. «Il vuoto borghese ha lentamente trascinato la società italiana verso una deriva antropologica, caratterizzata da pulsioni individuali, anche le più sfrenate, interessi personali o di singola categoria sempre più frammentati» (L’eclissi della borghesia). Sono figli del nulla, orfani delle tanto vituperate ideologie, cachielli di facile e vuota parlantina, maturati nelle scuole della didattica modulare, priva di logica consequenziale, di ordine temporale, di finalizzazione di un gesto, di un’idea, di una proposta. Sono sconosciuti in cerca di tutto ciò che li possa far conoscere. Sempre De Rita scrive: «Una prova empirica, ma molto indicativa, del fenomeno dell’eclissi borghese la si può ricavare partendo da uno sguardo attento alle liste dei candidati durante le elezioni… migliaia di nomi di aspiranti consiglieri, tutti sconosciuti. Non sappiamo se cercano pubblicità, potere, affari».
Sappiamo sappiamo! Cercano tutte queste cose; e se ce l’hanno, non le vogliono perdere. Sia i renziani che i berlusconiani sono capaci di fare colazione, pranzo e cena a base di gnocchi chiodati pur di essere ricandidati alle prossime elezioni. Non hanno altro di più importante, di più dignitoso. Sono come i cosiddetti “cornuti contenti” di una volta, i quali, pur di avere qualche beneficio dal signore del paese o di non perderlo se già ce l’avevano, erano capaci di prostituire moglie e figlie.
Per il presidente del Pd Matteo Orfini, renziano dell’ultima o della penultima ora – faccia lui! – è perfettamente normale che una trentina di senatori del Pd, renitenti all’adesione cieca alla proposta del loro segretario premier, di questo nuovo feudatario, venga sostituita, per far passare la legge elettorale, da una trentina del partito di opposizione guidato da un altro feudatario, un uomo che per la vergogna del paese è ancora in auge, dopo non solo e non tanto le condanne della magistratura, ma lo schifo dei suoi comportamenti pubblici e privati. Con quella sua faccia di cospiratore ottocentesco Orfini ha il coraggio di dichiarare: si è sempre detto che per le riforme istituzionali non contano maggioranza e opposizione, e nel momento in cui ciò accade si grida allo scandalo. Come se si trattasse del principio dei vasi comunicanti in versione politica: posti due partiti comunicanti è normale che si verifichi un passaggio di liquami, pardon di liquidi, politici ad un unico livello.
E in Forza Italia, non vanno tutti in brodo di giuggiole i berlusconiani, che si masturbano all’idea che Berlusconi sia tornato al centro del dibattito politico? Come se il fine ultimo del loro impegno politico sia il ritorno di Berlusconi, il suo pieno recupero politico, la sua restituzione a nuove porcherie!
Il vuoto lasciato dalla borghesia per certi aspetti è causa ed effetto insieme della trasformazione antropologica di cui parla De Rita. C’è una deriva assai più complicata e grave, che ha diverse altre cause. Lo stato della politica italiana dipende sì dai cattivi esempi degli anni passati, dalla corruzione diffusa, che fu quasi sul punto di avere un suo statuto; ma anche dall’impotenza politica di cambiare il corso di questa slavina devastante, così la chiamò agli inizi degli anni Novanta il politologo socialista Luciano Cafagna (La grande slavina. L’Italia verso la crisi della democrazia).
L’altro grande vuoto è la perdita nazionale di sovranità, seguita dalla convinzione che ormai nulla dipende dalla nostra volontà, dal nostro impegno. E’ la conseguenza del nostro essere ormai sottomessi a dei poteri sovranazionali che ci impediscono di pensare, di riflettere e di agire secondo prospettive, di avere dei sogni politici da realizzare. Quando tutt’intorno non ci sono che muraglie insormontabili, che si chiamano Europa e globalizzazione, a cui si è aggiunto il terrorismo islamico, che ci tiene tutti in ambasce, come si può aspirare a qualcosa? Nella condizione in cui non si hanno più sogni da realizzare, mete da raggiungere, prospettive, subentra una sorta di spleen politico che annichilisce. Allora monta il sommerso. Così emergono i furbi, gli spregiudicati, i Girella del Giusti, quelli che facilmente perdono “la bussola e l’alfabeto”, o i senza memoria storica, i depurati da ogni forma di ideologia. Quanti renziani e berlusconiani non sono riconoscibili nelle categorie citate? Direi moltissimi.
Per tornare alle ragioni di quelle minoranze che non ci stanno a svendersi, ad accodarsi alle mutazioni genetiche che hanno aggredito la politica di questi ultimi vent’anni, devono prendere atto che vanno incontro alla sorte dei perdenti, di quelli, che, pur avendo ragione, sono sconfitti e mortificati dalla congiura dei tempi. Non è un caso che sia nel Pd che in Forza Italia i dissidenti gridano, urlano, minacciano, ma poi regolarmente stanno al loro posto. Come ad aspettare che passi l’eduardiana nuttata o, magari, che arrivi Godot.
Featured image, Stanlio e Ollio ne “Gli allegri imbroglioni” (1943)