di Gabriele Merlini
L’austerità in salsa ceca è qualcosa che mette d’accordo tutti (o almeno quelli che dal duemiladieci sono finiti assieme in coalizione) e si approva rapida. Confezionato il pacchetto basta poi indire una fulminea conferenza stampa nella quale ammettere come i guai e gli screzi tra i partiti di governo siano finalmente archiviati e nessuno scricchiolio sarà più udito dalle parti del Castello. Perché nonostante i dissapori congeniti il premier Petr Nečas presiede ancora l’esecutivo di centrodestra formato da Ods, Věci Veřejné e Top09, e la faccenda potrebbe rimanere invariata fino alle prossime elezioni.
L’austerità in salsa ceca dimostra la possibilità di proseguire un menage a trois al netto di ogni rancore (ve ne sono di radicatissimi) e se in città ci credono pochi è riflessione rimandabile.
Deficit sotto la soglia del tre percento nel 2013 e 2014 tramite aumento delle imposte sul reddito, aliquote IVA che salgono al 15 e 21 percento e sospensione per tre anni di detrazioni fiscali per fasce più deboli (esempio: via alcuni sgravi per i pensionati.) Sale la tassazione del tabacco, imposte sul passaggio di proprietà, carbon tax e retta universitaria dalle 3000 alle 3500 corone per semestre. Manovra che in caso di mancata approvazione avrebbe creato dissapori probabilmente fatali al punto che proprio Nečas si è trovato a dichiarare qualche tempo fa come senza accordo sarebbe stato meglio votare subito.