Non c’è cosa che mi metta più ansia del mio controverso rapporto con le valigie. Appena mi metto a farle sono preso dal terrore di dimenticare qualcosa di importante o di includere qualcosa di palesemente inutile. Di superare il peso consentito, di includere oggetti vietati nel bagaglio a mano, di insaccare roba fragile che si schiaccerà, inondando i miei abiti di olio, shampoo, colonia, schiuma da barba, vino rosso, dentifricio. Ecco perché prima di partire mi prende la paralisi più abietta e solo all’ultimo frenetico momento riesco ad affastellare (rigorosamente alla rinfusa) una serie disparata di articoli nella borsa, sedendomici poi sopra per chiuderla, mentre cerco di controllare il fiatone per lo sforzo.
Uno dei miei più grandi desideri sarebbe una valigia già pronta sotto il letto, da tirare fuori in caso di emergenza, come il kit del pronto soccorso con la croce rossa stampata sopra che si vede nei film. Ancora meglio, una valigia già pronta con tutto l’occorrente che mi aspettasse direttamente nell’armadio dell’anonimo alberghetto a destinazione, consentendomi di partire leggero e felice, solo con un tascabile e facendo sberleffi in direzione dei banchi del check-in e dei funzionari doganali. Niente da dichiarare, tranne la mia libertà. Valigie utopiche, valigie fantasiose che si affollano nella mia testa, mentre sogno.
La valigia aspiratutto, come un enorme pacman si aggira per casa a bocca aperta mangiando e aspirando tutto quello che mi serve. Ha anche la maniglia prensile per aprire le porte degli armadi e i cassetti. Mastica e risucchia le camicie che poi riappaiono nello “stomaco” già stirate e piegate. Sceglie anche la musica da mettere nell’Ipod e ricarica il cellulare per ogni evenienza.
La valigia a motore, non solo ha le rotelle, ma si muove anche da sola per misteriose forze propulsive. Ci si può salire sopra come su un monopattino e attraversare la hall aeroportuale spensierati, come su una Lambretta, oppure ci si può avviare direttamente verso la propria destinazione in groppa a questo veloce veicolo che intelligentemente sa sempre la via più breve per arrivare dovunque.
La valigia specchio, prismatica di riflessi colorati. Ogni faccia trasparente e lucida mostra viaggi che ho fatto o anche che farò e tutte le persone che hanno viaggiato con me o che ho incontrato per strada. Alcune immagini si muovono coloratissime, altre stanno immobili, ma pulsano come se fossero in vita. Ci si vede dentro New York, Parigi, Chicago, Lisbona, Boston e magari anche Tokyo. Nessun bisogno di ricordarsi la macchina fotografica quando si parte con questa.
La valigia da riposo, è morbida come un cuscino e calda come una coperta. In aereo mi sostiene il collo così che la testa non mi penda tutta da una parte. Nelle sale d’attesa fa da guanciale o, se aperta, da materasso. Ma è più spaziosa di quel che sembri, anzi dentro ci sta un’intera camera da letto a due piazze, con lenzuola sempre fresche di bucato e comodino d’ordinanza col bicchiere d’acqua, l’abat-jour e un libro giallo, per ogni evenienza.
La valigia di Eta Beta, contiene tutto l’universo: la Bibbia e il Corano, mezzo chilo di porcini, la maglia di lana, l’antimateria, venti oche vive, uno spinterogeno, ettolitri di acqua di mare, calze corte e lunghe, il teorema di pitagora, un compasso. Impossibile scordare qualcosa a casa perché dentro c’è anche la casa, quella che ho, quella che avevo e quella che avrò.