Il titolo del post non è particolarmente originale ma evoca uno scenario di sangue e di sofferenze reali, che non possiamo più permetterci di ignorare.
Continua, infatti, nel Kivu, e nonostante i tantissimi appelli delle più importanti organizzazioni umanitarie internazionali, lo sfruttamento disinvolto delle compagnie minerarie straniere sulla pelle di uomini, e anche di donne e di bambini , che lavorano per paghe da fame sotto minacce, violenza e ogni forma di oppressione.
Compagnie senza dubbio supportate da mafie locali, che indisturbate praticano una specie di “caporalato” all’africana.
I “Rosso Malpelo” di verghiana memoria,insomma, ci sono ancora. E sono anche tanti.
Il mondo, possiamo dire, che non si fa mancare proprio niente,e non è certo cosa nuova, quando si tratta di sfruttamento in funzione del profitto.
Così anche la Chiesa congolese,e quindi la Conferenza episcopale, portavoce il suo presidente,il vescovo di Tshumbe, Nicolas Djomo Lola,dopo aver chiesto un’audizione al Congresso USA, si è fatta ascoltare in questi giorni nell’ufficialità (ed era ora!!!) perché si stabiliscano finalmente, una volta per tutte, regole severe sull’obbligo di trasparenza delle società minerarie in possesso delle concessioni nel Paese africano.
In prevalenza le società minerarie operanti in Congo sono, di fatto, multinazionali USA.
Alla Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nella protesta e nella poi conseguente perentoria richiesta di una “legge” sopratutto chiara, si sono affiancati a sostegno pure i vescovi cattolici statunitensi.
Parrebbe, e quasi certamente è così, che il denaro del commercio dei minerali finisca normalmente con l’ accrescere l’equipaggiamento di armi e munizioni di gruppi armati congolesi, il cui intento è solo quello di destabilizzare ulteriormente il Paese.
Spargendo sangue ulteriore e allontanando, in tal modo ( domandiamoci a chi giova tutto questo), sempre più ogni speranza di pace per la gente del Congo.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)