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Repubbliset, la nuova larga intesa

Creato il 10 luglio 2014 da Albertocapece

SILVIO BERLUSCONI PARLA CON CARLO DE BENEDETTIAnna Lombroso per il Simplicissimus

Pare che ci sia una sola larga intesa che non si riesce a concludere, quella tra i cittadini che vogliono contrastare i monopoli politici, economici e culturali che fanno da pilastri a una oligarchia che ha assunto la forma aberrante di plutocrazia quando non di cleptocrazia.

Le altre invece vanno a gonfie vele, tra qualche scaramuccia, qualche capriccio, qualche zuffa come quelle tra fiere che vogliono segnare il territorio, stabilire la propria superiorità tra gli animali della foresta. Così non sorprende l’ultima in ordine di tempo che vede riuniti finalmente i due duellanti in guerra da più di un ventennio a suon di carte bollate, cause milionarie, minacce, denunce, due tycoon, uno più sguaiato, uno più educato, ma con lo stesso doppiopetto, le stesse ville, le stesse barche, gli stessi affari ben collocati sotto l’ala protettrice della politica, fatta in proprio con un partito-azienda o esercitata e influenzata tramite un giornale-partito.

Hanno un progetto comune Berlusconi e De Benedetti, che prende forma dopo una lunga gestazione, favorito da un governo amico di tutti e due, e che ha il proposito di creare un trust invincibile, che, c’è da sospettare, non preoccuperà le competenti autorità da sempre ospiti gradite dell’uno o dell’altro dei partner. Ci informano il Messaggero e il Fatto che avrebbero in animo la costituzione di una concessionaria di pubblicità online per contrastare i monopolisti del web, Google e Yahoo! e perfino la Rai, per una volta lungimirante, colpevole a loro dire di aver svenduto la pubblicità dei Mondiale. I partner coinvolti sarebbero quattro:  Mediamond – joint venture divisa tra Mondadori Pubblicità e Publitalia ’80, concessionaria di Mediaset, la Manzoni, incaricata della pubblicità del gruppo Espresso. A loro si aggiungerebbero Rcs e Banzai, società controllata da Palo Ainio e dalla Sator di Matteo Arpe. Darebbero vita quindi a un cartello invincibile: quelli che già detengono la maggior parte del mercato editoriale si assicurerebbero anche quello pubblicitario, con effetti perversi e prevedibili sulla qualità dell’informazione. Non cambia molto in un Paese nel quale non esistono editori di giornali “puri”. Ma si tratta del sigillo su un sistema monopolistico implacabile e definitivo, dove la carta stampata è sempre più in crisi, dove il nuovo mercato è quello della rete sulla quale si indirizzano mire rapaci ancorché tardive, ma dotate di grandi mezzi e ancora maggiori protezioni. E dove i giornalisti de la Repubblica rivendicano la loro autonomia promettendo la prossima pubblicazione di intercettazioni inedite di Marina Berlusconi. Speriamo siano pruriginose come quelle di papà così almeno ci divertiamo, avendo da tempo rinunciato ad essere informati su quello che succede fuori e dentro casa dei giornali e dei loro padroni. Una volta si diceva che i giornali erano più attenti alla politica che a vendite e profitti. E lo credo, a consolidare questo legame feroce e incivile ci ha pensato anche una legge che eroga quattrini a organi di stampa che vantano meno lettori di un samizdat, che non compaiono nemmeno nelle mazzette dei parlamentari, che forse vengono stampati in tre esemplari e rigorosamente non vengono letti nemmeno da chi li scrive, che invece compare puntualmente a commentare i fatti del giorno nei talkshow televisivi, scambiando la visibilità per reputazione e l’immagine per informazione.

Ma adesso non ce n’è quasi più bisogno: l’integrazione tra padronati, quello produttivo, quello finanziario e quello politico, la progressiva personalizzazione e privatizzazione dei luoghi della rappresentanza, la cooptazione e la fidelizzazione che hanno sostituito consenso e partecipazione, sono una delle promesse mantenute della fine della democrazia. E con essa dell’informazione e del suo ruolo di generazione di opposizione, di nutrimento di scelte, di alimento del pensiero critico. È il momento buono per una larga intesa in più, che ripeta su scala e declini in altri settori quello che si sta compiendo con la cancellazione della rappresentanza, con lo smantellamento della Costituzione, con l’impoverimento del confronto ridotto a commedia delle parti, con l’egemonia del Governo nell’avocare a sé decisioni, nella produzione legislativa, nella pratica della decretazione.

Non è più tempo di “caste”, ormai ce n’è una sola, come c’è un partito unico, come ci avviamo a una grande Tv, Raiset o Mediarai insieme a la Sette di Cairo, tutte impegnate a passare le veline con testo a fronte anche per l’italiano della scapestrata compagine governativa, come vorrebbero una rete a maglie strette, nella quale spadroneggiare, mettere sensi vietati, direzioni uniche, segnaletiche per tenere tutti in carreggiata, quella del conformismo, della censura, dell’ubbidienza.

 


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