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Requiem per una saggia proposta di Legge

Creato il 10 dicembre 2012 da Maremagazine
Requiem per una saggia proposta di LeggeSembrava fatta. Se il Cavaliere non c’avesse messo lo zampino provocando la crisi politica con la fine anticipata della legislatura, sarebbe arrivata in Aula la proposta di legge numero 2302 presentata il 18 marzo del 2009 “Istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne e organizzazione del settore del patrimonio storico-culturale sommerso nell’ambito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali” primo firmatario Fabio Granata, già assessore ai beni culturali della Regione siciliana. Per l’archeologia subacquea e la sua lunga storia, di cui in verità pochi si interessano, sembrava giunto il momento di mettere ordine nelle acque agitate dei nostri tesori sommersi con la creazione di una Soprintendenza Nazionale del Mare sul modello di quella siciliana che opera da anni. Le motivazioni in premessa spiegano quanto sarebbe importante “…l’Italia per la posizione centrale nel Mediterraneo e per il ruolo che la storia le ha assegnato nel corso dei millenni, conserva nei suoi fondali marini un patrimonio storico-archeologico di inestimabile valore costituito sia da resti di strutture isolate, città e porti sommersi, sia di relitti e reperti di ogni genere ed epoca. A tutto ciò si aggiunge l’ingente patrimonio storico-archeologico conservato sul fondo dei laghi e dei fiumi, costituito da insediamenti che vanno dall’epoca preistorica (neolitico) fino ai giorni nostri, nonché da relitti di imbarcazioni di ogni genere ed epoca…” La proposta di legge era in esame presso il Servizio Bilancio dello Stato per la verifica dei costi di attuazione e doveva andare in discussione nella commissione cultura alla Camera.
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A ds. Ricostruzione della stiva di una nave oneraria. Museo della Navigazione Antica di Cerveteri (Roma)
Il testo dispone l’istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne presso il ministero per i Beni e le Attività Culturali, con centro operativo presso il complesso monumentale di San Michele a Ripa, nel quartiere Trastevere di Roma, e due centri sovraregionali: uno a Venezia, competente sulle acque dell’Adriatico e su laghi e fiumi delle sue regioni costiere e del Nord Italia, e uno a Orbetello, con competenza sulle acque del Tirreno, del centro-Sud e delle Isole.
“Alla proposta mancava soltanto il passaggio in aula, commenta non nascondendo la sua delusione Fabio Granata, perché ovviamente, anche se il ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi è favorevolissimo, dovevamo semplicemente stabilire un percorso legislativo, serviva semplicemente metterla all’ordine del giorno del prossimo Ufficio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma ora si allontana il traguardo di creare una Soprintendenza Nazionale autonoma che abbia riferimenti sia strutturali che dirigenziali con l’attuale struttura archeologica subacquea nell’organico del ministero. Come quella siciliana che ha valorizzato una struttura che già esisteva.

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Relitto di Marausa (Marsala)

Avendo autonomia è congegnata come soggetto sia di progettazione che di programmazione europea, tanto è vero che è una legge che avrebbe bisogno di una copertura finanziaria minima e soprattutto può accedere ai fondi comunitari alla luce della recente sottoscrizione del protocollo europeo sulla ricerca sottomarina. L’Italia è l’ultima nazione europea ad averlo sottoscritto, anche se in ritardassimo, siamo il 30° paese, dopo due anni che ce lo proponevano. Finalmente come Parlamento abbiamo ratificato il protocollo e la struttura sarebbe diventata Ente di programmazione e di progetto sui fondi comunitari per la ricerca e di valorizzazione delle risorse che si recuperano attraverso la ricerca per attivare così un circuito nazionale dei musei del mare. La mia è una passione che nasce per essere stato assessore regionale ai beni culturali in Sicilia, conclude Granata in questa piccola intervista, avevo quelle competenze esclusive che mi hanno permesso, con la determinante collaborazione di Sebastiano Tusa, di creare la splendida realtà della Soprintendenza per i Beni e Culturali e Ambientali del Mare, una struttura che prima di tutto serve a tutelare la Sicilia e che subito ha dato risultati importanti, penso a Gela, al porto di Siracusa, a Pantelleria. Le spese stimate per la realizzazione del nuovo Ente nazionale sono valutate in appena tre milioni di euro che, come previsto nella proposta, andrebbero trovati con l’aumento delle accise sui prodotto alcolici.”

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Nave rostrata da battaglia

E pensare che è stata proprio l’Italia, quando persino la Francia muoveva i primi passi, a inventare l’archeologia subacquea negli anni ’50 con  l’archeologo e storico Nino Lamboglia che scavò il relitto della nave romana di Albenga e diede vita al Centro Sperimentale di Archeologia Subacquea, all’interno dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri da lui stesso fondato, da cui poi prese l’avvio una importante stagione di ricerche nei mari italiani. Ma questo primato di innovazione ci è stato tolto da paesi più dinamici, mentre noi siamo rimasti al palo, siamo tornati quasi all’anno zero, nonostante gli sforzi e il lavoro dei molti archeologi che lavorano nelle Soprintendenze.
Una storia lungo abbiamo detto, che, dopo le esperienze di Lamboglia, inizia negli anni ’70 quando per la prima volta furono condotte ricerche da parte di volontari nel lago di Bolsena coordinate dall’Ispettore della Soprintendenza di Roma Claudio Mocchegiani Carpano, primo e unico archeologo subacqueo che già allora auspicava che “le Soprintendenze vengano potenziate e dotate di fondi stanziati appositamente per finanziare le ricerche archeologiche subacquee; che gli archeologi imparino ad andare sott’acqua; che ci si renda conto della sempre crescente importanza dell’archeologia subacquea ancora oggi trascurata da parte dell’archeologia ufficiale.”
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Il mare nostrun è stato nonostante tutto generoso negli ultimi anni restituendo migliaia di reperti e decine di relitti di imbarcazioni, dalle piroghe alle navi “cargo” romane di differenti epoche. Però a fronte della necessità di tutelare questo patrimonio sommerso, che non è solo in mare ma anche nei laghi e nei fiumi, una complessità immensa che fino a pochi anni fa non si poteva neanche immaginare, le strutture del Ministero e delle Soprintendenze, non sono state in grado di intervenire in modo sistematico per due motivi, il primo di tipo organizzativo perché non esiste sufficiente personale preparato per le immersioni, ovvero gli archeologi subacquei, il secondo legislativo, perché non c’è l’autorizzazione a immergersi. È una storia tutta italiana, abbiamo un patrimonio di inestimabile valore storico e culturale ma non ancora un organizzato sistema per la ricerca e il recupero oltre a quello museale sul quale basare un turismo che sviluppi ricchezza come succede in altri paesi. Vedi il Vasa a Stoccolma  o il Mary Rose in Gran Bretagna.

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Levanzo, isole Egadi, recupero di un rostro

Oggi nel ripercorrere quegli anni è Mocchegiani, protagonista della nostra storia dell’archeologia subacquea, a spiegare “Con la premessa che per fare archeosub servono archeologi, disegnatori, fotografi, tecnici subacquei, cioè vere e proprie equipe, lo stato doveva intervenire sulle migliaia di segnalazioni sempre provenienti da un grande movimento di volontariato, appassionati subacquei sportivi, che faceva da tramite tra le soprintendenze e la realtà archeologica. Ed è proprio attraverso l’azione del volontariato che ci siamo resi conto della gran quantità dei resti sommersi. Per esempio tutte le ricerche nei laghi sono esclusivamente opera loro (indagini sui villaggi palafitticoli, recuperi di numerose piroghe, e così via). Però, per legge, il funzionario archeologo che ha la competenza territoriale, ha il dovere di intervenire anche sott’acqua. Lì c’era una barriera perché sott’acqua o si mandavano i volontari o le forze dell’ordine. Quindi era necessario che si creasse e si cominciasse a ragionare su come organizzare le soprintendenze. Sono nate così figure come la mia e quella del collega Luigi Fozzati, ovvero dei primi archeologi subacquei, per seguire i volontari nelle immersioni. Ma uno dei mali che colpiva le nostre iniziative era l’indifferenza, che non risparmiava neppure le istituzioni che avrebbero dovuto provvedere alla tutela del patrimonio archeologico sommerso. Presentai un lungo rapporto al Ministero per denunciare tutte le problematiche legate alla salvaguardia, al recupero e alla conservazione del nostro patrimonio sommerso.
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Grazie a quel “decisivo” rapporto e all’allora direttore generale Francesco Sisinni, nel 1986 il Ministero istituì, lo STAS, Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea, e me ne affidarono la direzione, così lasciai la Soprintendenza di Roma per passare al Ministero. Si trattava di un servizio nuovo, di consulenza e di collaborazione, operativo, composto da una equipe di tecnici e archeologi sub a disposizione delle soprintendenze. Operavamo in modo autonomo con la collaborazione del nucleo tutela del patrimonio artistico dei Carabinieri, che ci fornivano il supporto dei loro subacquei altamente qualificati e noi ci occupavano della parte scientifica sott’acqua. Era un primo grande salto di qualità. Con tutte le forze dell’ordine, cominciammo a fare corsi per spiegare cosa fosse l’archeologia sub. Un’attività articolata, facendo corsi ai nostri tecnici, abilitando del personale con l’obiettivo di creare dei nuclei operativi nelle singole soprintendenze, il tutto finalizzato alla preparazione, all’organizzazione e alla sperimentazione. Dopo quindici anni di un intenso lavoro di ricerche svolte con centinaia di interventi, nel 2001 il ministro, Giovanna Melandri, pensò bene con una nuova riorganizzazione interna  in pratica di annullarlo e i centri creati con tanta fatica con la loro autonomia operativa, trasformando lo Stas in una Sezione del servizio Tutela e Conservazione dei Beni.

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Primi interventi di pulizia di un’anfora

Decisioni prese con molta superficialità senza che tenessero nel dovuto conto la grande mole del lavoro svolto e soprattutto che le esigenze di intervento erano aumentate in maniera esponenziale e enormi erano le difficoltà operative per mancanza di personale addestrato, di attrezzature e di finanziamenti. Le nostre indicazioni mettevano in evidenza tutte le problematiche dell’archeologia subacquea e la necessità di creare, come sarebbe stato auspicabile, una Soprintendenza Nazionale del Mare, oggi proposta di legge. Nel 2004, continua nel suo racconto Mocchegiani, dopo che presentai una sorta di Libro Bianco 1973-2003 sui trent’anni di iniziative, di lavoro e sulle aspettative, mi viene affidata la direzione scientifica del progetto Archeomar, finanziato con un’apposita legge e organizzato dalla Direzione Generale per i Beni Archeologici Servizio Documentazione con la collaborazione della nostra Sezione Tecnica per l’Archeologia Subacquea che in pratica finisce di operare. Archeomar diede il via alla prima fase del censimento dei beni sommersi delle regioni Campania, Calabria, Basilicata e Puglia, al fine di realizzare una banca dati geografica dei siti archeologici sommersi e fornire uno strumento di conoscenza e analisi alla strutture del Ministero impegnate nell’attività di gestione, tutela e controllo del patrimonio…
Nel 2009 si finanziò Archeomar 2 per ampliare la banca dati del censimento. Anche se negli ultimi venti anni, conclude Mocchegiani, le università hanno istituito corsi di archeologia subacquea dal punto di vista della preparazione di nuovi archeologi il Ministero è tornato all’anno zero.”
Invece la Sicilia, proprio perché regione autonoma, con la sua Soprintendenza del Mare, all’avanguardia nella tutela ambientale delle proprie risorse, ha fatto storia a sé, per essere la prima (e per ora unica) struttura di questo genere in Italia.

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Cerveteri, Museo Navigazione Antica

Associa, in un’ottica multidisciplinare gli aspetti etnoantropologici e naturalistici a quelli archeologici, studiando siti e relitti di epoche diverse, nonché le tradizioni marinare contemporanee. In pratica è la trasformazione del già Servizio per il Coordinamento delle Ricerche Archeologiche Sottomarine (Scras) (del tutto simile allo Stas di Roma) in una unica struttura centrale con una complessa articolazione, ha mezzi, uffici amministrativi e tutto ciò che serve per il suo corretto funzionamento. È nata nel 2004 su iniziativa dell’archeologo Sebastiano Tusa, che ora la dirige, e del deputato Fabio Granata. La proposta, sull’onda della scoperta del Satiro Danzante e della grande attenzione mediatica che ne seguì, trovò l’unanimità del parlamento siciliano, tuttavia. è lo stesso Tusa a sottolinearlo, vi fu anche un altro elemento importante che diede impulso a quella proposta. In quegli anni finirono sulle prime pagine dei giornali le “spericolate” imprese di Robert Ballard, il famoso oceanografo esploratore di abissi venuto in Mediterraneo per una spedizione presso il Banco Skerki, in mezzo al Canale di Sicilia a 70-80 miglia dall’isola di Marettimo, in acque internazionali, e fuori dalle 24 miglia del limite della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay, non ratificata fra l’altro dallo Stato Italiano. Per Tusa si trattò di una vera e propria razzia data la contiguità con le acque territoriali italiane e tunisine e la pertinenza culturale dei relitti alla comune storia nativa del Mediterraneo che scatenò una pressoché totale e violenta reazione da parte sia della comunità scientifica internazionale che del governo italiano. Infatti, durante quella spedizione usando strumenti ad altissima tecnologia, due robot telecomandati, un sottomarino nucleare (il più sofisticato esistente al mondo, lungo 44 metri, con un diametro di 4 metri ed un dislocamento in immersione di 400 tonnellate, è spinto da due motori a propulsione nucleare e può raggiungere la profondità di 900 metri), e una nave oceanografica con tutti i laboratori di ricerca e la base operativa, a 800 metri di profondità furono individuate otto navi di epoca romana. Di ciascuna sono stati recuperati 15 reperti per uno studio cronologico del sito: un pezzi di legno, una lucerna, alcune anfore, due monete in bronzo utili a definire l’età delle navi, alcune suppellettili e due ancore in piombo. Tutti i reperti recuperati sono ora esposti a Washington presso la sede della National Geographic Society.
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Certamente in Italia l’Archeologia Subacquea non ha questi mezzi tecnologici, ma con la creazione della Soprintendenza del Mare, semmai diventasse realtà come lo è nella Regione Autonoma siciliana si potrebbero comunque iniziare sistematiche ricerche archeologiche subacquee sulla base dell’archivio Archeomar e adottare misure per la fruizione dei beni storico-culturali sommersi con la progettazione finalmente un sistema museale compreso un museo nazionale del mare.
O siamo ancora nel regno dell’utopia?

Maurizioo Bizziccari

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