Confesso: non ho resistito a mettere gli occhi sull’ultimo Andrea Camilleri, La piramide di fango (Sellerio). Ho ancora lo stomaco impastato di fango (senza alcun lieto fine).
«Montalbano si taliò torno torno. Quel paesaggio lo sdisolava, gli faciva stringiri il cori, lo mittiva a disagio. L’enormi gru assomigliava allo schelitro di un mammut, i granni tubi parivano ossa di qualichi armàlo giganti e armàli sconosciuti e morti erano i camion deformati dal fango ‘ncrostato di supra. Non si vidiva un filo d’erba, il virdi era stato cummigliato da ‘na coperta semiliquita grigio scura ‘n tutto eguali a ‘na cloaca a celo aperto che aviva assufficato a ogni essiri viventi, dalle formicole alle lucertoli. A Montalbano tornò a menti un verso di ‘na poesia di Eliot che s’acchiamava appunto “La terra desolata” e che faciva “qui, dove i morti perdono le ossa”» (p. 25).
Magazine Palcoscenico
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