Sono giorni che cerco di trovare un argomento interessante di cui parlare sul blog, se non altro per sbloccarmi da un’apatia da trapasso che rallenta ogni facoltà mentale. Dovrei raggiungere alcuni aspetti che ritengo importanti superando alcune fasi che mi hanno riguardato. Sono sempre più convinta dell’autenticità di ogni atto che compio, e credo sia molto scomodo per gli altri ascoltarmi, ma rimango sempre ferma sulle mie posizioni portando avanti le scelte di vita che ho intrapreso a costo di sembrare sfigata, irriverente e fastidiosa, soprattutto a chi non vuole più interessarsi.
Questo post è un mix di elementi che ho trattato nelle ultime settimane. Una forma di contaminazione culturale che confluirà nella segnalazione di alcune cose utili e futili per la nostra esistenza, offrendole in dono con un pacco di interconnessi sfoghi liberatori.
Inizio con una recensione su una mostra curata da una giovane curatrice teramana e intitolata Deborderline. Clicca qui per leggere.
Si tratta di un articolo che ha visto prima della sua pubblicazione mille e mille seguiti professionali, che voglio dire: neppure Chruščëv ha avuto tanti problemi nel dover effettuare un discorso ai tempi della sua resa.
Vi segnalo anche i ragazzi di Minimal Cinema.
Loro hanno lavorato su un documentario dedicato alla figura dell’artista americano Anton Perich. Si tratta di alcuni trailer che si trovano Qui.
Il progetto completo visto il 13 maggio, evidenzia una realtà parallela completamente diversa e sconosciuta sul periodo d’oro dell’arte negli Stati Uniti all’epoca di Andy Warhol.
Siamo tutti vittime accondiscendenti di un meccanismo che fagocita e corrode. Siamo figli di una logica di delirio lanciata e amplificata dal re della pop art in maniera sempre più esponenziale. La capacità degli autori è stata di trovare la giusta distanza nella descrizione di un personaggio che ha saputo gestire la sua ossessione, carpendone dinamiche, e frequentando quegli ambienti con un grande distacco di osservazione, restituendo una lettura amplificata della sua identità nel proprio codice linguistico.
E’ una produzione che guarda e indaga le cose in una chiave consapevole e nostalgica.
Vi consiglio di approfondire.
Ho terminato il volume Le Pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane di Tomaso Montanari (Minimumfax, 2013). Chi conosce lo studioso è cosciente del fatto che i suoi piccoli volumi racchiudono denunce su denunce su condizioni legate allo stato della cultura in Italia e sulla posizione a margine che viene assegnata agli storici dell’arte. Lo scritto non tralascia i casi noti di cronaca culturale evidenziati dagli organi di stampa, ma ne narra con attenzione le dinamiche non conosciute dal grande pubblico. Loda chi, meritatamente, ha denunciato e tutelato il patrimonio da atti di sciacallaggio e deturpazione per meri fini personali. E’ un volume piccolo e intenso, che si sofferma sulla potenza del marketing emozionale come strumento di distruzione di massa, ma che narra come L’Aquila terremotata sia un simbolo di una incresciosa situazione che sembra non voler mutare dalle volontà politiche.
Ho assistito alla inaugurazione della personale di Mario Vespasiani curata da Lucia Zappacosta presso l’Alviani ArtSpace di Pescara, domenica scorsa (clicca).
Non ho visto nessun film che mi potesse colpire tanto da scriverci qualcosa di meritevole.
Ho ripreso a cucinare.
L’ultima creazione sono stati gli Gnocchetti di pesce allo zafferano.
Una ricetta inventata al volo e con pochissimi ingredienti: gnocchi di patate, zafferano, tre asparagi, tre zucchine, un mix di pesci di vario tipo (totani, calamari, panocchie, gamberi, mazzancolle, vongole ecc.), prezzemolo, aglio e cipolla, pepe e sale quanto basta.
Se volete una descrizione più dettagliata commentatemi – anche se la modalità di preparazione è a intuitiva già dalla lettura dei singoli ingredienti.
Ci stiamo a leggere!
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