Nell’antica Grecia, il popolo riteneva sacro il vaticinio delle sibille, donne devote agli Dei che impiegavano la loro vita nell’auspicio di trasferire il sapere e la volontà del Dio agli uomini. Le sibille, erano così un elemento fondamentale della società, e le loro parole rispettavano regole di versificazione di estrema bellezza e raffinatezza, ma di oscura interpretazione.
“Inciampano i miei passi/ nel caotico moto del pensiero// e di Eraclito mi inquieta/ il lento divenire e lo scorrere incessante/ del fiume in piena.// Verità immutabili/ imprigionano le menti/ nel nucleo invisibile dell’Essere,/ ricerca dell’origine,/ scintilla e Verbo/ fuoco e Creazione.// Nell’oscurità del cosmo/ evapora e dilegua/ l’acquatico elemento naturale,// il solo vero universale,/ per le umane vite,/ l’esser venute al mondo,/ grumo di sangue,/ materia della madre.// Noi siamo figlie di una nuvola.”
La raccolta poetica “Reti e vele” ricorda il senso di profezia delle sibille, una sorta di poesia che fuoriesce dall’accezione temporale per divenire altro, per divenire sostanza di un concetto profondo che narra di essenza umana. L’autrice, Giusi Ambrosio, sceglie di sezionare la sua raccolta in quattro macrotematiche principali: Abitare, Essere, Esistere e Ricordare.
Quattro temi che riprendono la formazione della coscienza di ogni essere umano, quattro temi che raggruppano liriche accentuate da una musicalità antica e femminea.
E così “Reti e vele” diviene una corsa alla coscienza, una corsa disperata verso il simbolo. Incontriamo, sin da subito, l’immensa distesa del mare a ricordare quanto la strada è irta di impensabili vie, e dunque, di scelte.
Un mare che partecipa nella propria essenza di proprietà quali la divisione e la condivisione, una dicotomica presenza di possibilità in costante metafora con il ragionamento.
E così “Reti e vele” è ambivalente nella sua doppia ispirazione di prigione e liberazione. Le reti simboleggiano l’imprigionamento sociale nel quale si vive dalla nascita, si abita in una società a cui non si appartiene per scelta, una società logora di folli regole che hanno scordato la bellezza della vita e delle arti.
Le vele raffigurano l’idea di liberazione, una sorta di verità alla quale si arriva con durevoli sforzi di conoscenza di se stessi.
“Nella modernità Penelope/ le ha raccolte tutte le tele/ anche le incompiute/ per avvolgere i desideri/ e alzare vele fluttuanti / tra onde antiche e orizzonti nuovi.// Navigazioni di flotte colorate/ canti di mille voci/ con amiche e compagne luminose./ Ma sempre incerta / la meta per ognuna;/ come lo scoglio più vicino / diviene per alcune approdo, / così il richiamo di un Ulisse ritrovato/ può cancellare in tante la memoria.”
Le liriche sono presentate senza alcun titolo. Quasi come rimembranze lontane ripescate dall’amalgama della Poesia, ci troviamo di fronte a versi che riprendono il lontano mito e lo modernizzano in una visione più ampia di ciò che sarebbe potuto accadere.
Potrebbero esser viste come nuove possibilità di presa di coscienza, come nuove possibilità di interpretazione di un Io collettivo di cui sempre più si ha bisogno.
“Sinceramente non so/ di quante ali/ avrei bisogno/ per volare;/ sinceramente/ non so/ di quali ali/ avrei bisogno/ per volare./ Sinceramente/ non so/ se bastano le ali/ a una donna/ per volare.”
Foto di copertina: Giusi Ambrosio
Titolo foto: Fiori di acacia sulla sponda del Mar Morto
Written by Alessia Mocci
Curatrice di collana ([email protected])
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