Esistono prodotti che da soli possono stabilire gli equilibri di un intero mercato. Parliamo dei tipici videogiochi che riescono ad ottenere un successo tale da spianare la strada, indirettamente, ad altre software house di cimentarsi nello stesso genere e dare così vita a vere e proprie battaglie lucice. Alone in the Dark nel 1992 aveva posto le basi di quello che sarebbe poi diventato il genere di giochi “survival horror”, sancito definitivamente nel 1996 da Capcom grazie a Resident Evil.
Quando parliamo di Resident Evil non si discute di un gioco qualsiasi ma di una autentica leggenda del media videoludico: molti dei prodotti usciti negli anni successivi hanno avuto come modello di riferimento proprio il primo episodio della saga creata da Shinji Mikami. Sono passati più di 15 anni dall’uscita, questo titolo può ancora oggi dire la sua?
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In Resident Evil faremo conoscenza della squadra speciale STARS, inviata nei pressi di Raccoon City sulle tracce di una precedente squadra inviata per investigare su alcuni misteriosi omicidi avvenuti nella medesima zona. Fin dal filmato introduttivo le cose si faranno complicate: la squadra viene assalita da un branco di cani dal tasso di aggressività fuori dalla norma costringendo la squadra a rifugiarsi all’interno di una villa. Qui le cose non miglioreranno: alcuni membri della squadra sono dispersi, uno di questi è rimasto ucciso dai cani mentre all’interno della magione sono inspiegabilmente presenti dei morti viventi affamati di carne umana.
La lotta per sopravvivere comincia qui, tra ammasso di carne putrida e innumerevoli stanze da visitare per cercare qualsiasi cosa possa essere utile alla causa.
All’inizio del gioco potremo scegliere uno tra due personaggi giocabili: gli agenti STARS Jill Valentine e Chris Redfield. Scegliere uno o l’altro non porta sostanziali differenze nella giocabilità in quanto entrambi i personaggi si comanderanno nello stesso modo e posso fare le stesse azioni. Tuttavia, se si è alla ricerca di una esperienza veramente competitiva e realistica è consigiabile scegliere Chris: troveremo meno munizioni in giro e si affronterà un numero di puzzle ed enigmi di vario tipo per sbloccare delle porte che Jill può sbloccare semplicemente usando un grimaldello (oggetto che Chris non possiede). Nel gioco inoltre è presente un inventario limitato: Chris può prendere non più di 6 oggetti mentre Jill può arrivare fino a 8 rendendo così la gestione dell’inventario meno complicata ma forse anche meno affascinante.
Nel complesso quindi, l’esperienza di gioco diventa più agevole (ma anche meno avvincente) se si sceglie di giocare con Jill.
Per il resto, che si scelga Chris o Jill, l’aspetto primario del gioco rimane lo stesso: sopravvivenza. Nel gioco si deve sopravvivere non solo visitando le numerose stanze della villa alla ricerca di munizioni prezione ma anche per utilzzare sapientemente tali munizioni all’interno del gioco: non basta infatti raccogliere tutte le munizioni del gioco per uccidere tutti i nemici e dovremo quindi stare attenti nell’usarle solo quando è strettamente necessario. Questo è stato un concetto veramente innovativo nel 1996 e che, personalmente, oggi mi sento di ricordare con profonda nostalgia dato che nei giochi di oggi tale concept non c’è più (oppure relegato in livelli di difficoltà più elevati). Difendersi dai non morti e esplorare l’ambiente sono perciò due componenti cardini del gameplay tanto per sopravvivere quanto per proseguire nella vicenda. Nel titolo possiamo anche curarci utilizzando delle erbe mediche speciali che possiamo anche combinare tra loro per usufruire così di effetti di diverso tipo (per esempio un erba blu che può fare da siero in caso di avvelenamento).
A tutto questo si aggiunge poi un gameplay macchinoso e legnoso: per quanto addestrati, i nostri eroi non sono dei superuomini e se non ci muoviamo con la dovuta cautela rimetterci le penne sarà una vera passeggiata. Per farlo dovremo avere una buona confidenza sia con i movimenti del personaggio sia con l’uso delle armi da fuoco. Sistemi che oggi potrebbero risultare eccessivamente “vecchi e antiquati”: indubbiamente, Resident Evil risulta ad oggi meno godibile rispetto che in passato e le nuove generazioni di giocatori (o anche semplicemente coloro che non l’avevano provato all’epoca) faticherebbero non poco. Ma è stato anche questo gameplay ad aver portato fortuna al gioco e al resto della saga: un sistema del genere contribuisce a trasmettere quel senso di insicurezza necessario in tutte le produzioni del genere. Si tratta indubbiamente di una di quelle lacune che, per un motivo o per un altro, riescono invece ad esaltare le qualità di un gioco (alla stessa maniera della “nebbia” del primo Silent Hill). Appunto però stiamo parlando del 1996 e bisogna armarsi di santa pazienza e di macchina del tempo.
Abbiamo citato Alone in the Dark in questa recensione e lo rifacciamo un’altra volta spiegando una delle caratteristiche che Resident Evil ha ripreso (con successo) dall’avventura sviluppata da Infogrames: le inquadrature. In Resident Evil è presente un sistema di telecamere fisse con l’inquadratura che cambia secondo la direzione che prenderemo. Questo significa che non avremo mai una panoramica completa del luogo dove ci troveremo e questo significa ancora tensione continua e pericolo sempre dietro l’angolo (o dietro lo schermo se proprio vogliamo). Questo anche per “mascherare” gli ambienti 2D del gioco, ottimamente dettagliati e particolareggiati. Sempre parlando del lato tecnico, niente male neanche i modelli tridimensionali sia dei personaggi protagonisti sia dei nostri nemici.
Non abbiamo ancora parlato di quello che forse è l’aspetto meno riuscito (ma comunque non pessimo) del gioco: la trama. Di fondo la trama del gioco è ricca di mistero, di intrighi e di sporadici colpi di scena capaci di spiazzare il giocatore. Tuttavia il problema sta nella narrazione degli eventi (per gran parte affidata a documenti testuali) e nei dialoghi non proprio di eccelsa qualità (anzi alcuni rasentano anche il ridicolo rovinando l’atmosfera). Oggi, con il media videoludico che si è evoluto al meglio sotto il profilo della narrazion, è più difficile da digerire questo aspetto. Fortunatamente molte di queste lacune sono state migliorate e corrette anche grazie all’eccellente remake del gioco (Rebirth) uscito per GameCube.
Non male neanche l’aspetto sonoro seppur il doppiaggio può lasciare molto a desiderare proprio per i motivi sopra citati riguardo i dialoghi. Nel complesso però le BGM del gioco fanno bene il loro lavoro e aiutano nel rendere l’atmosfera del gioco terrificante e inquietante.
Il fatto di poter scegliere tra due personaggi rende Resident Evil un titolo anche molto longevo sotto il profilo della durata e non solo: effettuando determinate azioni durante l’avventura possiamo sbloccare diversi finali della storia. I più impavidi quindi troveranno pane per i loro denti per sbloccare tutto quello che c’è da sbloccare nel gioco.
Commenti finali
Resident Evil ha fatto e continua a fare la storia dei survival horror: gli va riconosciuto di aver influito positivamente sul mercato videoludico grazie ad elementi considerati all’epoca assolutamente inediti e innovativi. Tuttavia soffre il tempo che corre sotto molti punti di vista: una giocabilità invecchiata non benissimo e difficile da digerire ai giorni nostri e una trama che, grazie anche a prodotti successivi maggiormente curati, fa grande fatica a decollare. Un classico comunque senza tempo e che tutti, aldilà delle difficoltà che si possono incontrare nella giocabilità, dovrebbero comunque provare anche per pura curiosità di vedere il gioco che ha sancito il nostro amato genere horror di cui oggi è rimasto ben poca traccia.
+ L’inizio di un ciclo fortunato;
+ Tensione viva sulla pelle
+ Discretamente longevo e rigiocabile
+ Gameplay di grande spessore….
- …ma che oggi potrebbe non far piacere a tutti
- Trama migliorabile