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"Non ho più paura di morire: sono già morto una volta" Lande selvagge dell’America settentrionale del 1820. Prima della corsa al petrolio, all’oro o al carbone, qui si spingevano brigate di avventurieri senza scrupoli alla ricerca di preziose pellicce, veri pionieri del capitalismo di mercato. Poi un grave ferimento: Hugh viene brutalmente ferito da un orso Grizzly, a cui segue un amaro tradimento.Stremato e con un gruppo di indiani alle costole, il capitano Henry è costretto a lasciare indietro la guida apparentemente agonizzante insieme ad un gruppo di volontari. Il morente Di Caprio, infatti, spinto da una conseguente esplosiva voglia di vivere supportata da un certo darwinismo e notevoli botte di fortuna, tra un grugnito e l'altro porterà poi avanti due ora e mezzo di pellicola, con lunghi primi piani, quasi totale assenza di dialoghi e movimenti di camera al limite della cinetica. Da dieci e lode la fotografia di Emmanuel Lubetzki e una colonna sonora di Sakamoto che più elegante di così non avrebbe potuto essere. Se tuttavia non amate i sussurri fuori campo, i ritmi e la tensione, il mistero e il misticismo che Iñárritu condivide con Malick, lasciate stare. Siete avvertiti.
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