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Discusso (e discutibile) esempio di merchandising post-mortem senza approvazione autoriale, spacciato per prequel di una trilogia amatissima della commedia italiana ( più nella versione di Monicelli che nell'episodio, incolore, di Loy), "Amici Miei: Come tutto ebbe inizio", dal paragone ricercato con forza con i diretti antenati, ha tutto da perdere. E infatti la sconfitta del team De Laurentis è stata cocente. Nulla da sottolineare circa la qualità del film, un brodino surriscaldato senza verve o armonia, legato a beffe inverosimili e ripetitive. Ma è l'operazione in sé a rappresentare una tipologia di produzione lontana dalla pratica moderna.
Attentare a Monicelli è da stolti. Le ragioni sono molteplici e di varia natura. Monicelli è stato, nell'arco di una carriera lunghissima, una voce nazionale a tutti gli effetti, un acuto scrittore di storie (con un team amicale alle spalle di levatura immensa). Quello che Filmauro non ha saputo cogliere è la profonda, incredibile, simbiosi istituita tra il regista e un pubblico senza limiti sociali o ideologici. Il progetto, precedente alla fine dell'artista, è andato in porto con una certa celerità, tanto che ci si interroga su quali siano i meccanismi che ne abbaino determinato l'approdo in sala nei primi mesi del 2011, in un momento tutt'altro che propizio alla diffusione, soprattutto considerando l'ostilità di Monicelli circa la messa in cantiere della pellicola. Tralasciando questioni pubblicitarie e commerciali, occorre sottolineare che la trilogia storica "Amici Miei" costituisce un caso abbastanza isolato nella filmografia del caro Mario. Non è un progetto diretto ma acquisito (da Pietro Germi), vanta un gruppo attoriale perfettamente amalgamato (e miracoloso, visto i talenti singoli messi assieme), e soprattutto è entrato nella memoria storica collettiva per l'arguzia delle battute, il taglio scorretto e la sottile vena melanconica. E' il nostro "Il grande Leboswki", volendo dare una definizione che può sembrare fuori luogo, ma non lo è. E' un fenomeno di massa, quasi isterico, quasi una tappa da formazione. In tutto questo, un prequel (che ha in comune soltanto un'impostazione simile che cerca di omaggiare la trilogia in modo alquanto scontato) ambientato nella Firenze del '400 ha una distanza incolmabile con la preesistente produzione "Amici Miei", dando piena forza ai commenti di chi vede nel titolo e nel battage pubblicitario una semplice mossa commerciale. Non a caso, la credibilità artistica di una casa che produce il cinepanettone sempre più involgarito e fine ad una comicità raso terra, non può confrontarsi, uscendo indenne, da un confronto così serrato. Lo scarto è così evidente che a nulla servono i richiami della narrazione e il cast mostra tutta la sua inadeguatezza ( si può definire uno dei casi più eclatanti di attori completamente fuori contesto, anche perché la qualità individuale è di per sé piuttosto bassa), senza dimenticare una sceneggiatura davvero infima ( tra gli altri anche Brizzi è accreditato nel ruolo in questione) e una regia, di Neri Parenti, completamente antitetica alla mano del maestro. Si salva la ricostruzione scenografica, guarda caso la cosa meno utile al film nel recuperare l'essenza del trittico originario.
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