Opera prima compiuta per Michele Rho, interessante director della leva giovanile, classe 1976. "Cavalli" è un film coraggioso fin dall'idea che si porta dietro. Ambientazione evocativa del western dei grandi spazi e campi profondissimi di fordiana memoria (per stessa ammissione del regista), epopea famigliare senza troppi fronzoli cronologici, finale esemplare e metaforico. Quello che manca in questo dramma storico che ricostruisce con grande perizia il periodo di riferimento, affidandosi alla naturale panoramica di una Toscana inedita, tra il bucolico e il crepuscolare, è la sostanza narrativa. Il parallelismo tra i due fratelli, che incarnano due visioni opposte del relazionarsi al mondo, è fruttuoso solo grazia ad un'attenta struttura interna, ma perde di efficacia nello svolgimento delle singole sequenze che non riescono ad essere mai pienamente narrative o descrittive. Manca, in più, un particolare sussulto emotivo, è tutto eccessivamente razionalizzato e l'intreccio risente di una semplificazione che impedisce anche di dare spessore ai caratteri di contorno. La figura della madre (un'inedita Asia Argento), giustamente relegata ad un breve prologo iniziale, è fondamentale e ben amalgamata nel racconto (la voce fuori campo sul finale rimanda al dualismo caratteriale evidente nell'adolescenza dei fratelli), mentre davvero limitante il ruolo offerto ad un padre prima padrone, poi addolcito (senza esplicitazione del cambiamento). Tra i due interpreti principali, più adeguato alla parte e meno eccessivo Michele Alhaique rispetto al più noto Vinicio Marchioni, ombroso. Semplice e dimesso il ruolo riservato a Giulia Michelini. Il dato più importante, però, sta nella notevole capacità intuitiva del regista che riesce a trovare uno stile personale e maturo e a dipingere, letteralmente, la scena, grazie a tocchi visionari veramente artistici. Un quasi-esordio incoraggiante.
Opera prima compiuta per Michele Rho, interessante director della leva giovanile, classe 1976. "Cavalli" è un film coraggioso fin dall'idea che si porta dietro. Ambientazione evocativa del western dei grandi spazi e campi profondissimi di fordiana memoria (per stessa ammissione del regista), epopea famigliare senza troppi fronzoli cronologici, finale esemplare e metaforico. Quello che manca in questo dramma storico che ricostruisce con grande perizia il periodo di riferimento, affidandosi alla naturale panoramica di una Toscana inedita, tra il bucolico e il crepuscolare, è la sostanza narrativa. Il parallelismo tra i due fratelli, che incarnano due visioni opposte del relazionarsi al mondo, è fruttuoso solo grazia ad un'attenta struttura interna, ma perde di efficacia nello svolgimento delle singole sequenze che non riescono ad essere mai pienamente narrative o descrittive. Manca, in più, un particolare sussulto emotivo, è tutto eccessivamente razionalizzato e l'intreccio risente di una semplificazione che impedisce anche di dare spessore ai caratteri di contorno. La figura della madre (un'inedita Asia Argento), giustamente relegata ad un breve prologo iniziale, è fondamentale e ben amalgamata nel racconto (la voce fuori campo sul finale rimanda al dualismo caratteriale evidente nell'adolescenza dei fratelli), mentre davvero limitante il ruolo offerto ad un padre prima padrone, poi addolcito (senza esplicitazione del cambiamento). Tra i due interpreti principali, più adeguato alla parte e meno eccessivo Michele Alhaique rispetto al più noto Vinicio Marchioni, ombroso. Semplice e dimesso il ruolo riservato a Giulia Michelini. Il dato più importante, però, sta nella notevole capacità intuitiva del regista che riesce a trovare uno stile personale e maturo e a dipingere, letteralmente, la scena, grazie a tocchi visionari veramente artistici. Un quasi-esordio incoraggiante.
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