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Bistrattato da buona parte della critica americana, il nuovo film dei Farrelly Brothers è uno dei migliori della loro discontinua carriera, tra analisi sociologica e momenti di volgarità contagiosa. "Hall Pass" convince proprio laddove i Farrelly avevano perso colpi, a furia di generalizzazioni narrative. In più il contrasto tra l'adulto "responsabilizzato" e l'adolescente "ormonoso" viene a galla e risolto in un'ottica realistica e matura.
Ok. La prima domanda, quando ci si relazione con gli speculari Farrelly, Peter e Bobby, è sempre la stessa. Sono, per caso miracoloso o ingegno nascosto, riusciti a attingere ai fasti di "Tutti pazzi per Mary"? Era il 1998 e la comicità "scemo + scemo" dei due consaguinei conquistò mezzo mondo, con i suoi risvolti sessuali, le sue scene cult, le sue battute dilaganti. A dire il vero, non ho mai amato pazzamente i Farrelly, anzi considero alcune loro opere "nefaste" dimostrazioni che qualche episodio riuscito non fa di un regista un cineasta vero e duraturo. Mi riferisco, in particolare, a quello "Spaccacuori" con Ben Stiller in fase calante che ricordo con grande difficoltà (la rimozione ha fatto il suo dovere). "Hall Pass", rispetto ai suoi predecessori, è un passo avanti compiuto ed evidente. La prima novità sta nell'assunzione di una prospettiva adulta, almeno in apparenza. Due uomini, Owen Wilson e Jason Sudeikis, regolarmente sposati con due splendide donne, Jenna Fischer e la sottovalutata Christina Applegate (che aveva mostrato la sua duttilità in "Anchorman"), hanno una certa età anagrafica, delle responsabilità, figli da accudire, lavori da sbrigare. Sono "uomini comuni", padri e mariti. Eppure un piccolo cruccio non va via: un'inspiegabile attrazione sessuale verso il sesso opposto che si manifesta in qualunque modo, luogo, circostanza, seguendo un automatismo che di certo non giova alle dinamiche di coppia. Ed ecco qui la genialità della psicologia moralistica dei Farrelly: l'inserimento di un "hall pass", una libera uscita dalla fedeltà matrimoniale della durata di 7 giorni, scanditi attraverso frames con riferimenti temporali come nell'adrenalinico "24", serie tv di qualche anno fa. E parte una sbornia alla rovescia, un tentativo maldestro di accaparrare nuove conquiste. I Farrelly assumono la prospettiva femminile, quella di mettere gli uomini nella condizione di essere liberi, ma mostrano come, venendo meno il gusto del proibito, aumenti in modo vertiginoso il senso di responsabilità, unito ad un'inadeguatezza da manuale. La stessa libertà diventa una condanna, una privazione. Forse l'aver voluto creare delle situazioni anche per le due donne lontane da casa è un tentativo di dare maggiore velocità e ritmo ad una storia altrimenti statica. E i Farrelly ci riescono (non mi addentro su considerazioni riguardanti maschilismo/femminismo, comunque non esenti dalla pellicola, perchè l'intenzione dei registi non è molto chiara e sicuramente svalutante per le figure femminili). Il finale è pacificato, la famiglia si ricompatta. E il buonismo, una volta tanto, non è avulso e rende più umana la configurazione dei suoi personaggi. Invece di "Una notte da leoni 2", svuotata del tutto di un'articolazione narrativa e piena di clichè, "Hall Pass" è una soluzione scorretta (con sequenze da vietato ai minori nella versione originale) ma comunque non priva di un messaggio, condivisibile o meno. Guardare fino alla fine dei titoli di coda.
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