5.0 su 10
Ennesimo capitolo del lungo romanzo delle commedia all'italiana, ma evitate i salti di gioia, perché non stiamo parlando di luminari della materia, ma del solito soggetto ricco di cliché e facile facile per un pubblico variegato. Insomma non c'è un Monicelli, ma un Brizzi sceneggiatore (firma le pellicole con una facilità ammirevole, peccato che non riesca ad azzeccarne una) e un Genovese dietro la macchina da presa, che al massimo evita qualche elemento demenziale, ma non riesce comunque a sostenere una coerenza narrativa non banale. Tutto è già visto, ripreso, rimontato, quasi fosse un patchwork senza anima, senza un'idea, con un soggetto esile e acchiappa - pubblico (d'altronde agli Italiani la maturità piace davvero in tutte le salse) e le risate latitano, così come gli elementi caratterizzanti. Genovese non fa altro che entrare nel novero di quei registi tutti uguali, senza stimolo, nati con Brizzi e suoi diretti seguaci. Il mio "non-amore" per le produzioni del regista del "product-placement" sono evidenti, ma lui attribuisco soprattutto l'incapacità di osare, di evitare la battutina trita e ritrita, di copiare/trasportare elementi di cinematografie becere nel nostro genere per eccellenza, la commedia, appunto, che vanta una solidità sociale estranea ad altri paesi. Quando si parla del successo della nuova commedia all'italiana, ho un mancamento e un'immediata volontà di rimozione del nostro stato di salute cinematografico. Solo in questo inizio anno, a parte Zalone, che, è da ammettere, è il meno banale della collezione, le sale si sono riempite con il saggio politico "fuori tempo massimo" di Albanese, con il crossover/sequel della saga by Brizzi sulla lotta tra i sessi, senza dimenticare il semi-failure al botteghino "Manuale d'amore 3" con un De Niro da prendere sonoramente a schiaffi, a cui aggiungere il debutto dei "comici" Enzo Salvi e Maurizio Battista in "Una cella in due", sonoro flop, così come il remake aggiornato e moderno di "Casotto", gran film di Sergio Citti, riproposto senza verve da un figlio d'arte che di cognome fa Cerami. Ma non basta. Massimiliano Bruno ha firmato la regia di "Nessuno mi può giudicare"con Paola Cortellesi nel ruolo di una escort ed è stato immediato primo gradino del boxoffice, e non dimentichiamo il dispendio monetario per quello che hanno spacciato come prequel di "Amici Miei" e che è il cinepanettone di marzo di Neri Parenti. La cosa diventa oggettivamente più preoccupante, guardando ai prossimi sbarchi in sala, solo nel mese di Aprile, con l'eccezione di Boris che ha alle spalle una serialità di rispetto. Gianbattista Avellino con "C'è chi dice no", "A sud di New York" di Elena Bonelli, con ex-Amici nel cast, "Se sei così, ti dico sì" di Cappuccio con la Rodriguez in gran spolvero (peccato che non sia Michelle, ma la arcinota soubrette in Corona), "Faccio un salto all'Avana" che ha un poster orripilante e sembra un prodotto da serie-z. E' un problema di cultura e non parlo degli spettatori, spesso costretti loro malgrado, ma di chi produce, che non si rende nemmeno conto quanto possa essere deleteria la sovraesposizione della commedia in sala a lungo termine. Detto questo, "Immaturi" non si sottrae alla lunga schiera di "produzioni" ad hoc, leggere, leggere, corali, senza spigolosità, con un cast televisivo (e Luca e Paolo sono attori mediocri), a cui aggiungere dei bravi caratteristi come Memphis, delle attrici capaci come la Bobulova e la Ranieri e delle scoperte discontinue ma potenzialmente forti (non a caso è una delle migliori in questo cast) come la rediviva Ambra Angiolini, nei panni di una cuoca ispirata a "Ratatouille". Su Bova non metto bocca, perché non riesco ancora come si possa definirlo un attore vero e proprio. Genovese, che ha alle spalle l'altro successo natalizio del trio comico "Aldo, Giovanni e Giacomo" (non ho ancora avuto modo di vederlo), assembla un gruppo di attori che sembrano divertirsi davvero tra di loro (almeno l'alchimia non è forzata), ma sbaglia i tempi, e da un assunto di tutto rispetto passa al solito (made in Brizzi) "qualunquismo" banale, un po’ a buon mercato, tra lieto fine e multistoria corale "perfetta", in cui tutto combacia e chi va via dalla sala rimane con un senso di contentezza/stupidità inconsapevole. C'è di tutto, un insieme di storie, personaggi, già visti altrove, quotidiani, fatti in serie. E se questo vuole il pubblico italiano, lo accontentino. Di certo, in controtendenza con la critica "ufficiale" spesso militante e nazionalista, sostengo la mediocrità di progetti come questo.