Magazine Cinema
Senza guizzi, nè genialità, il Barney di Richard J. Lewis è una versione "ready-made" che finisce per "trasformarsi" in altro, un semplice groviglio di dramma e commedia classica, agrodolce, curata, un po' incolore, ma anche forte di interpretazioni sottili e dalla semplicità ammirevole.
La scommessa di Lewis era, in partenza, una sconfitta. Misurarsi con un libro tanto sfaccettato dai personaggi/maschere tanto "ambigui" come quello del compianto Mordecai Richler (con la dedica finale di risarcimento) non poteva, di punto in bianco ed in ogni caso, che costituire una sconfitta. L'unica cosa da capire era l'entità della stessa. Lewis, director televisivo con qualche tentativo maldestro al cinema, non era l'arma migliore (ma credo che nessun cineasta sareebbe stato esente da critiche più o meno costruttive) per cominciare la battaglia con(tro) i due Panofsky e la loro (s)gradevole "attitude", anche per il fatto che, pur essendo di carta, i due personaggi si sono animati da sè, senza bisogno di un "creatore" reale, diventando, dalla semplice pagina bianca, status-symbol a tutto tondo. A Lewis vengono in aiuto i due interpreti, Paul Giamatti e Dustin Hoffman, che erano l'unica scelta possibile. Giamatti subisce un'evoluzione/involuzione/rivoluzione fisiognomica iper-naturale e alterna toni diversi, senza perdere la direzione (è un'interpretazione di immedesimazione, ma senza troppo studio, a quanto vedo), mentre Hoffman si degna di (ri)fare sè stesso, consapevole di potersi amalgare con il personaggio (con tecnica ammirevole). Ed è proprio qui, in questa "illuminazione" da casting, che possiamo capire che la trasposizione sia stata una sconfitta minore, di quelle " ai rigori", di quelle per "inferiorità numerica". E, casomai, riconsiderare anche il rapporto problematico (per non dire drammatico) che si instaura tra un libro e la sua resa cinematografica. Detto questo, il resto di "La versione di Barney", l'annacquamento della sceneggiatura, la diminuzione dell'elemento "investigativo", la mancata propensione all'adesione alla cinica fisolofia di vita dell'uomo, l'umorismo edulcorato, la banalizzazione della psicologia (d'altronde portare sullo schermo i "deliri" di Barney sarebbe stato impossibile di per sè) è una sconfitta, considerando il testo da cui è tratto, meno a prendere in considerazione il mood del cinema di oggi. Certo qualche rischio bisogna correrlo, questa è una "versione" alquanto riduttiva in sè (indipendentemente dall'opera) in termini di complessità umana, ma non conviene fare gli schizzinosi e accettare l'opera così com'è. D'altronde, ognuno, come Barney, ha la sua personale versione ( anche su Barney e la sua raffigurazione reale/fantastica/artistica).
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