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Alla terza regia, Mullan si conferma autore di impatto, capace di rievocare un'inquietitudine umana attraverso una forma tradizionale e non lasciandosi imbrigliare da marcati elementi retorici. La linearità narrativa diventa la forza di una pellicola orientata sulla scrittura in sè come tramite di un elemento sociale che non diventa mai moralismo di bassa lega ma analisi psico-sociologica potente e immediata.
Il regista di "Orphan" e del più noto e discusso "Magdalene" torna alla macchina da presa (a cui affianca una redditizia carriera da interprete) con un'epopea della "marginalità" che si avvicina molto alla raffigurazione dell'adolescenza in Shane Meadows, che è il diretto referente, con l'unica corposa differenza nell'approccio stilistico, più caotico/contraddittorio/aperto nel director di "This is England", più impostato, umanistico e tradizionale in Mullan. Se questa premessa potrebbe essere sfavorevole allo scozzese, va considerato, da un altro punto di vista, che Mullan riesca ad essere molto più incisivo nel carico realistico dell'insieme, accrescendo la dimensione legata alla psicologia e non dimenticandosi di inserire un raccordo meno edulcorato sulla violenza fisica (che diventa spesso insostenibile). Per certi aspetti,entrambi gli autori rappresentano, nei film con riferimenti più o meno storici all'Inghilterra del tempo (passato e presente), una sorta di opposizione parziale e un'identificazione di prospettiva che li pone su livelli più o meno equivalenti. In "Neds" il marchio di fabbrica di Mullan si riversa sulla asciuttezza del Loach di "Sweet Sixteen", concentrandosi su un ragazzo singolo, interpretato da un "english-boy" tradizionale come Conor McCarron, faccione con quella parvenza di rossore tipica degli uomini dell'europa del nord e capelli biondini-rossastri. Mullan è davvero in gamba a delineare la parabola di desolazione umana di un semplice ragazzo-standard, di famiglia tradizionale, assumendo ripetumente e con slancio l'ottica del protagonista, fino ad entrare nei suoi sogni interiori, esteriorizzati attraverso lampi geniali e vere visioni (termine che si addice non poco, considerando qualche sequenza tra l'onirico e il surreale che fa cadere la carica realistica e accrescende l'elemento simbolico in un'accezione di una religiosità ambigua, come al solito per Mullan, dopo i conventi di "Magdalene"). In un linguaggio che trascende ogni artifizio, e si avvale di una ricostruzione leggibile, Mullan punta tutto sulla bravura, eccelsa, dei suo cast di giovanissimi "poco-noti" e sulla scrittura priva di momenti morti, nonostante la durata non da poco. Per ora, uno dei migliori film dell'anno.
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