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Sospeso tra simpatia bizzara e pseudo-dramma del sopraggiungere della mezza età e del successo venuto meno, "Se sei così, ti dico si" è un esempio di come un soggetto interessante si possa tramutare in realtà in un poco sostanzioso e irrisolto film di serie B. Concentrato a bassa gradazione di troppi argomenti, sviscerati senza particolare capacità di entusiasmare o convincere lo spettatore, il film di Eugenio Cappuccio è abbastanza atipico per il taglio volutamente ibrido e una certa malinconia resa attraverso la notevole interpretazione di Solfrizzi, ma è anche eccessivamente scialbo per ritagliarsi un posto al sole che non sia quello del contesto locale. E la Rodriguez è una scelta di comodo che mette in evidenza, di contrappasso, la povertà attrattiva della pellicola in sè. Certo che "Io, te e il mare", con relativo video a basso budget sui titoli di coda, la costruzione del personaggio di Solfrizzi e un tocco scenografico tra il naif e il minimal sono da tenere d'occhio.
Era una scomessa e, in fin dei conti, è stata una sconfitta. Se sul profilo qualitativo qualcosa si salva, del tutto irrisorio è stato l'incasso totale al boxoffice, nonostante il lancio in gran stile e l'appeal dei protagonisti. "Se sei così, ti dico sì" è una di quelle opere che scivolano via senza troppi problemi, di certo non accattivante nè dirompente, ma nemmeno disprezzabile soprattutto considerando il livello professionale che sta dietro alla realizzazione. Il regista quarantenne Eugenio Cappuccio si affida a due nomi storici del cinema italiano, i fratelli Avati, qui produttori, e paradossalmente devia rispetto alle prove più che discrete realizzate in precedenza a favore di una narrazione più elementare e priva di complicazioni evidenti. Il risultato è meno positivo rispetto al previsto, soprattutto per l'incapacità di amalgamare una serie di motivi di diversa provenienza, facendosi portavoce di due storie, quella di un cantante fallito e di una fantomatica soubrette eccessiva, che si intrecciano in modo alquanto irreale e piuttosto farraginoso. Il problema è la mancanza di olio negli ingranaggi, che costituiscono spesso semplici accidenti fini a sè stessi, spesso digressioni esistenziali tirate giù con il compasso, spesso anonimi e appesi riferimenti a personaggi secondari che vengono travolti dalla centralità dei due protagonisti. Insomma, la presenza di ingredienti discreti e di una qualità media, non comporta, di rimando, una preparazione efficace e all'altezza del tipo di cinema, una sorta di "dramedy", a cui ci si indirizza. Da un certo punto di vista, la volontà di mantenere un realismo "fly-away" è da apprezzare, ma in fin dei conti l'opera funziona maggiormente laddove domina la policromaticità visiva e il paradosso. L'unico che riesce a mantenere un ottimo profilo generale è Emilio Solfrizzi, a cui si deve un'interpretazione inusuale, che in parte lo collega alle storiche produzioni di inizio carriera (e il ritorno in Puglia giova), in parte gli garantisce un'impostazione drammatica più legata alla fase attuale. Ed è l'unica certezza su cui il film si basa. In questo, la scelta di una soubrette come la Rodriguez è rischiosa e Cappuccio porta a casa un risultato medio, anche se va detto che il lavoro di direzione della stessa è piuttosto riuscito, considerata la base di partenza, davvero bassa. Il resto del cast (soprattutto Iaia Forte, doventata un clichè vivente della rabbia disperata più che un'attrice) non si imprime. Meglio ascoltare il successo del fantomatico Piero Cicala nazionale (la cui fantasmagoria convince, grazie ad un dosaggio ottimale di un insieme di generazioni di cantanti anni 70'-80' diventati meteore e con una sola hit in tasca, oggi riscoperti grazie a trasmissioni televisive che sfruttano il vintage-revival come "I migliori anni", inserita nel film). Ed eccola tutta per voi sotto.
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