Interessante esempio di docu-fiction temporalmente dilatata, "Sorelle Mai" è un film minore nella cinematografia di Marco Bellocchio, ma non un film peggiore o di poco conto. Lo sperimentalismo formale, l'ibrido intrecciarsi di realtà e ricostruzione realistica, l'autobiografismo marcato e il localismo (la città originaria di Bellocchio, Bobbio, diventa ancora una volta il riferimento primario, il "nido" pascoliano perturbante da cui è impossibile distaccarsi completamente), sono organizzati in modo atipico, mescolando persone reali (le sorelle del regista, la giovane nipote, il figlio noto attore) ad attori di fama (Donatella Finocchiaro, Alba Rohrwacker), e la commistione è sentita e pura, non strumentale ad un effetto dirompente, ma tutta giocata sulla sospensione di incredulità. "Sorelle Mai" è un interessante esempio di cinema a basso budget, che richiede cura certosina e attenzione maniacale, ma è soprattutto un film fortemente comunicativo, in linea con la poetica personalissima e militante di un Bellocchio insolitamente (dato le ultime prove) famigliare. E convince.
Bellocchio mockumentary-mode. O quasi. La docu-fiction non richiede di solito un grande lavoro organizzativo, ma la tendenza al perfezionismo del regista emiliano implica una scansione temporale di registrazione e di assemblaggio del materiale filmico inusuale. E' un progetto, quello del regista di "Vincere", ambizioso sin dalla partenza, una ricostruzione libera e senza limiti di realizzazione, che colpisce per il coraggio produttivo (a basso budget ma frutto di un lavoro decennale) e per l'atipicità formale, a metà tra la messa in scena quotidiana e causale e l'inserto di elementi narrativi apparentemente centrali che costituiscono la fabula elementare del film. "Sorelle Mai" gioca fin dal titolo (un fantomatico cognome locale) con l'ambiguità di fronte allo spettatore e arriva a trovare un'organicità perfetta puntando sulla fusione di contesti diversi. E così le due sorelle del regista, in età avanzata, costituiscono il bonario punto di partenza della storia, il luogo più che le persone-personaggio, fino ad identificarsi con la casa, l'origine, il passato, il sacrificio. Più che due esseri viventi, sono due speculari retaggi di un passato famigliare antico, due archetipi morigerati e moderati della donna dell'Ottocento o giù di lì. Attorno alla loro presenza assente, si delineano altre tre diverse storie integrate e speculari, quelle di un fratello e di una sorella lontanissimi ma legati da un vincolo forte, alle soglie di una disperazione latente, in un mondo di instabilità emotiva e professionale (entrambi sono attori) che viene sanata parzialmente solo dal rifugiarsi nella piccola cittadina piacentina, in cui i conflitti prima vengono a galla e poi cercano una sintesi. La terza protagonista è una bambina, Elena Bellocchio, un medium tra i due mondi, quello pacifico e lento del borgo immobilizzato decenni fa delle zie, e quello, spesso comprensibile solo di rimando ai comportamenti, dei fratelli nella società moderna e cittadina. "Sorelle Mai" è un film sul tempo e sullo spazio ma sarebbe più opportuno riconoscere la pluralità dei tempi e degli spazi, in una decisa opposizione tangibile tra i rispettivi mondi, filmici o reali. E in questa diacronia lunghissima Bellocchio manifesta la sua personalissima via di fuga, lontana tanto dalla cogente attualità quanto dal passatismo in uno sguardo umano e intimo che è un po' l'alternativa ad una società compromessa. La critica politica dell'ultimo "Vincere" si abbandona al nido, rifugio mistilineo e controverso, ma unica possibilità di evasione in un'Italia che perde il senno.