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Chiamato a ripetere, forse un po' ingenuamente, il successo lampante dell'Oscar Contender 2011, "The Fighter", "Warrior" ha perso la sfida economica, rivelandosi un failure al botteghino. Ma la sua è una parziale sconfitta anche considerando il livello qualitativo e il paragone con la creatura di David O. Russell. "Warrior" è un'opera carnale, per certi versi sentita e con climax emotivi che possono coinvolgere lo spettatore, un'odissea di vita prima di tutto famigliare, in sfaldamento e in ricostruzione, fatta di piccoli passi avanti e di immediate recriminazioni su un passato che stenta a cancellarsi per chi l'ha vissuto. Nonostante la forza intrinseca alla storia, a sua volta foriera di immediati dé-jàvu filmici di facile rimando, "Warrior" non riesce a concatenare in modo intelligente le singole storie personali ed individuali e arriva, in qualche caso putroppo non fortuito, a mettere a punto intersezioni narrative poco naturali e frutto di una costruzione più artificiosa che meramente artificiale. Ed è un peccato. Se "The Fighter" riusciva a rimanere corale grazie al suo rapporto simbiotico tra una famiglia dominata dalla personalità forte di una madre aggressiva e chioccia (Melissa Leo, Oscar per il ruolo), in "Warrior" compare, in modo antitetico, un padre in cerca di una redenzione impossibile (uno straordinario Nick Nolte) e due figli agli antipodi l'uno dell'altro, personalità distinte, storie separate, e difficoltà a reggere un percorso narrativo omogeneo e coerente per due personaggi che arrivano ad una sintesi incontro/scontro (o meglio il contrario) solo nel finale. L'immanenza di "The Fighter", la sua acuta possibilità di analisi dei personaggi dentro e non al di là della storia in sè, diventa un continuo ed estenuante rimando ad un contesto implicito/esplicito sempre impregnato di passato in "Warrior". Ad un certo punto subentra un ulteriore filone, quello dell'eroismo presunto di uno dei fratelli che complica e appesantisce, non avendo altra funzione che quella di allungare il brodo e la durata della pellicola. Gli errori sono legati allo sfruttamento delle storie e alla mancata omogeneità temporale ed è tutto imputabile alla sceneggiatura non troppo bilanciata . Il regista,che figura anche tra gli autori della storia e dello script, Gavin O' Connor, mantiene fede all'ottica dualistica del precedente "Pride & Glory" e ha la possibilità di dirigere due veri fuoriclasse che riescono a dare alla pellicola quel quid in più necessario per conquistare lo spettatore, Tom Hardy e Joel Edgerton che non sfiguarano anzi migliorano le prestazioni della corrispondente coppia di "The Fighter" formata da Wahlbergh e l'Oscar Christian Bale. Per il resto molto buona la confezione tecnica, notevole anche la direzione della fotografia. Il film è vivido e convincente, anche se eccessivamente tradizionale e fuori fuoco a livello di scrittura, ma davvero ben interpretato.