Magazine Avventura / Azione
"Buried" è passato dal Sundance, sua sede naturale, alla ribalta nelle sale. Eppure, nonostante l'appeal del soggetto e l'ottimo riscontro critico, non ha superato l'esame del botteghino. Andando ad analizzare il film nella sua interezza, forse ci possono cogliere alcune ragioni del risultato. La forza di "Buried" sta nella capacità di chiudere qualsiasi riferimento da fiction o solitamente cinematografico. Una bara, un luogo imprecisato, un uomo, con una matita, un cellulare. Nessun riferimento all'ambiente esterno, se si eccettua un video inviato dal cellulare dei rapitori con un'esecuzione, spiazzante, in diretta. Per il resto telefonate, tante telefonate, un numero vasto di segreterie telefoniche. E una fotografia stupefacente, con tanto di viraggi naturalistici e una corposità dell'immagine che riesce a evidenziare i minimi particolari, nonostante la predominanza costante del buio. "Buried" è una storia ai limiti, senza ricorso ad un facile splatter, capace di tenere alta la tensione fino all'ultimo fotogramma. E' un film che sembra un commiato di un uomo solo, che prende virate difficile da metabolizzare, e sembra aprirsi ad un finale diverso. Ottima l'interpretazione di Ryan Reynolds, una delle migliori dell'anno, che mostra la sua attitudine a variare i generi di riferimento e si mette in gioco fino all'identificazione parossistica, determinata soprattutto dalle situazioni anguste di ripresa. Il film è diretto da Rodrigo Cortès, abilissmo nello sfruttare in modo economico lo spazio, anche grazia alla sceneggiatura di Chris Sparling piuttosto amalgamata e uniforme, fino appunto all'assunzione di un'ottica, verso la fine, che può essere definita Hitchockiana, per suspense e capacità stilistica nell'insieme (con tanto di titoli di testa e stile pubblicitario, dai poster al trailer, affine).
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