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Revisionismo berlusconiano o complotto internazionale?
Creato il 14 maggio 2014 da Giuseppe Avignone @gavignoneIl revisionismo è una pratica utilizzata per consentire di riscrivere controverse pagine di storia in tempi diversi rispetto agli accadimenti analizzati e con quella sorta di astrazione critica con cui pare difficile valutare alcuni episodi a caldo; oggi in Italia si prova a fare lo stesso con eventi accaduti meno di tre anni fa. E’ il caso della nuova teoria complottistica anti-berlusconiana che infiamma il partito dell’ex-premier e pochi altri. Il riferimento è a ciò che accadde nel 2011 e il cosiddetto “inganno dello spread”. Proviamo a fare un po’ di ordine con date e avvenimenti. Nel 2011 la crisi economica si acuisce e a farne inizialmente le spese è la Grecia con un default pilotato: la borsa ellenica perde in pochissimo tempo oltre il 50% della sua capitalizzazione, i bond diventano carta straccia, l’Europa si dimostra incapace di gestire la situazione imponendo percorsi rigidi, il FMI e le altre Autorità monetarie non riescono a frenare la caduta e gli speculatori fanno il resto mettendo in ginocchio un intero Paese. Poco dopo le attenzioni dei mercati si concentrano su Spagna e Italia ed a quest’ultima viene richiesto un impegno concreto e urgente sulla vie delle riforme e di riconquistare una credibilità politica ed economica fortemente messa a rischio. Nel nostro Paese la crisi si accentua, molte aziende non riaprono al termine di quella terribile estate e l’UE mette il Presidente del Consiglio con le spalle al muro: agire immediatamente o farsi da parte. Ad ottobre Merkel e Sarkozy e gli altri membri dell’Unione rifiutano il suggerimento americano di accedere agli aiuti del FMI, costringono il nostro Paese ad evitare il commissariamento, ma considerano insufficiente la risposta italiana, anche in considerazione di una maggioranza che scricchiola e perde un pezzo alla volta. Dopo il G20 di Cannes del 3 novembre dove l’Italia viene umiliata e quasi spinta tra le braccia del FMI dalla maggior parte dei rappresentanti, le sorti di Berlusconi appaiono segnate e il voto sul rendiconto di Bilancio (con un risicato 308 in Senato, con la famosa conta degli 8 traditori) apre la crisi di Governo con le successive dimissioni. In quei giorni caldi lo spread raggiunge il massimo di sempre (548) e da lì in poi inizia una lunga e progressiva discesa che permette all’Italia di uscire dal centro della crisi. Oggi, le parole di Geithner non dicono niente di più di quello che tutti conoscono, ma se male interpretate possono essere usate in maniera inopportuna. Non ci fu alcun complotto ma solo la minaccia di un commissariamento, non a voce unica da parte dell’UE o degli Stati Uniti ma collegialmente da chi aveva compreso la gravità della situazione, invece non intesa dall’esecutivo Berlusconi. E’ per questo che Usa ed Europa preferirono interloquire direttamente con Napolitano, il quale dopo aver preso in mano la situazione concordò con lo stesso Berlusconi la sua uscita di scena e l’inizio del Governo Monti, tanto è vero che proprio il Cavaliere nei giorni successivi alle dimissioni provò a convincere anche gli alleati della Lega a sostenere il nuovo esecutivo. Non si è trattato di niente di poco trasparente o di nascosto e neanche lo spread può essere definito un inganno per diversi motivi. In primo luogo, è stato commercialmente utilizzato per dare una fotografia della crisi e solo perché si trattava del migliore elemento utile a misurare l’incapacità di uno Stato di essere solido e solvibile nel breve periodo. In secondo luogo, non si tratta di uno strumento speculativo e condizionabile perché coinvolge il movimento di molti miliardi di titoli di Stato, difficilmente manipolabili a livello globale come invece può accadere con gli indici azionari, che in fase di crollo presentano minime quantità negoziabili con prezzi immediatamente soggetti a oscillazioni violente e incontrollate. Se oggi si vuole riscrivere quella dolorosa fase storica, forse qualcuno farebbe bene ad assumersi le colpe di quei pericolosi mesi di ritardo prima di cedere alle dimissioni, invece di ritenere che mani forti usassero i mercati, lo spread e quant'altro per oscurare la risolutezza di un leader inesorabilmente dimezzato di fronte agli occhi del mondo. Analizziamo, invece, in breve quello che accadde dopo e come l’Italia riuscì ad uscire da quel pantano: il Governo Monti contribuì a riportare credibilità al nostro Paese e le misure prese - seppur dolorose per i contribuenti - aiutarono a tamponare l’emorragia finanziaria, poi l’insediamento di Draghi fece il resto con le due fasi dell’LTRO e il discorso del luglio 2012 quando garantì un paracadute illimitato ai mercati, fino alla normalizzazione dell’Italia che, se a molti non è andata giù in termini di equilibri politici, è comunque garanzia all'esterno di un percorso di rinnovamento, anche se ancora troppo lento e non profondamente incisivo. Non c’è la necessità di rivisitazioni, ma l'esigenza di proiettare i sacrifici fatti in passato verso un futuro che oggi non appare ancora del tutto roseo ma soggetto ancora a stravolgimenti, quelli che in alcuni casi sono dannosi o inconsistenti e quasi sempre garanzia di ingovernabilità e degrado sociale.
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