Revival pasoliniano
Creato il 17 luglio 2014 da Veripaccheri
Che Piero Paolo Pasolini sia una figura
con cui l'Italia deve fare i conti è ormai una falsa notizia. Artista e
intellettuale refrattario ad affiliazioni e opportunismo, Pasolini
nel corso degli anni 60/70 rappresentò la spina del fianco di quell'Italia
democristiana e bigotta che si riteneva insindacabile, e che per questo,
al momento della tragica scomparsa, è stata indicata da molti come la
principale responsabile di quella morte, mandante occulta di
un omicio commesso da altri. Se la vicenda reale si è fermata alla condanna di Pino Pelosi, ragazzo di strada accusato di avere
ucciso Pasolini durante un incontro clandestino, il cinema ha
provato ad andare avanti ripercorrendo più di una volta quella
parabola esistenziale, con una scrittura che ha alternato giornalismo da
inchiesta (Marco Tullio Giordana con "Pasolini, un delitto italiano) a
ricostruzione documentaria (Roberto Olia con "Nero Petrolio"), per
arrivare ad arrendersi di fronte all'evidenza di un mistero destinato a rimanere tale. Per questo motivo sorprende e fanno piacere la notizie di questi giorni che riportano in primo piano la vita e
l'opera dello scrittore e regista friulano, attraverso due film a lui dedicati.
Il primo è "Pasolini" di Abel Ferrara, in predicato di figurare nel
concorso veneziano ed interpretato da William Defoe, il secondo, poco
pubblicizzato ma non meno interessante è invece "Pasolini, la verità
nascosta" di Federico Bruno, con Massimo Ranieri nella parte del
protagonista. In attesa di verificarne i risultati, sappiamo già che
entrambe le storie si focalizzano sugli ultimi giorni di Pasolini, con Ferrara che ha puntato tutto su un ritratto intimista e
introspettivo, in cui la realtà si alterna con una forte componente onirica,
mentre Bruno sembra aver scelto un impostazione culturale e letteraria , con la stesura di Petrolio,
il libro dello "scandalo" (Petrolio, rimasto incompiuto) a fare da trait union
tra il pubblico e il privato dell'artista.
A confortare l'appassionato
sulla giustezza dell'approcio riservato a una figura cosi importante e problematica ci sono almeno due cose: la
carriera cinematografica di Ferrara, da sempre refrattario a qualsiasi compromesso, e abituato nel bene e nel male a far prevalere il suo
punto di vista (vedasi l'ultimo "Welcome to New York, sul caso di
Strauss Khann), e, a seguire, la serietà professionale degli attori coinvolti, che nel
caso di Ranieri servirà anche ad aumentare l'attenzione nei confronti di un lavoro meno reclamizzato di quello firmato dal regista americano. A metterlo in guardia invece, il rischio di un maledettismo che
nel caso di Pasolini rischia di togliere spazio all'analisi e all'approfondimento. Di una cosa siamo però sicuri, e cioè che le polemiche non mancheranno. Prepariamoci dunque alla tenzone, e nell'attesa magari buttiamo un occhio a qualcuno dei capolavori Pasoliniani. Sarà un modo per non lasciarsi
incantare dai soliti venditori di parole.
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