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Acquistai il mio primo long playing nel 1973. Credo fosse Il nostro caro Angelo di Lucio Battisti. In camera mia i vinili giravano su un piatto Thorens, letti da una testina Shure. Sono particolari che non si dimenticano.
Da allora fu un diluvio. A casa erano sempre passati dei dischi, anche rock, ma a comprarli era mio padre. Da bambino ascoltavo la radio, e registravo le mie canzoni preferite usando un microfono e chiudendo la porta della camera per limitare i rumori esterni. Un mio piccolo contributo c'era stato all'epoca dell'autoradio, che funzionava a cassette Stereo 8. Ci si fermava dal benzinaio a fare rifornimento e si scambiava la propria cassettona con un'altra. Io mi limitavo a proporre i miei titoli preferiti a mio padre ; ma l'unico di cui ho memoria è Enzo Jannacci, Vengo anch'io. Era il 1968 ed avevo 10 anni.
Dopo il primo, acquistai valanghe di vinili, sia dai miei spacciatori locali, che nei negozi inglesi, fino al 1986, anno in cui acquistai il mio primo lettore di compact disc. Il primo CD che ci infilai potrebbe essere stato Graceland di Paul Simon, oppure triplo Live 75-85 di Bruce Springsteen & the E Street Band (di cui però possiedo anche il quintuplo vinile, che dunque doveva essere uscito prima). Accolsi la nuova tecnologia a braccia aperte, per più di un motivo. Intanto perché amo la tecnologia: in quello stesso 1986 possedevo già il mio primo Apple Macintosh, e in giro non se ne vedevano molti. Il secondo ottimo motivo è che ero un fine artigiano delle compilation in cassetta, e il CD, con la sua precisione ed il suo silenzio di fondo, era molto comodo da registrare.
Anche con l'acquisto dei CD fu un diluvio, anzi un salasso, che non è ancora terminato.
Negli anni duemila ho posseduto anche diversi iPod, ma solo di rado mi è capitato di acquistare musica liquida (da iTunes), e si trattava sempre canzoni singole e non album. Gli album li ho sempre preferiti nella forma fisica, con tanto di copertina. Le playlist sull'iPod hanno comunque preso il posto delle cassette (prima) e dei CD-R masterizzati (dopo) che ascoltavo in auto.
Due o tre anni fa sono uscito da un negozio di hi-fi con un giradischi (un Rega), ma alla fine si è dimostrato più uno sfizio che un ritorno alle origine: non credo di aver acquistato più di una dozzina di vinili, che ascolto solo occasionalmente. Il CD è troppo più comodo del vecchio Long Playing, e quello che conta nella musica è il contenuto, non il contenitore. Ascolto musica incessantemente; è raro che in casa o in auto ci sia silenzio. Non credo che altrettanto possano dire gli audiofili.
Parlando di contenuto, nel 2015 ho fatto la conoscenza di Spotify e della musica liquida in streaming. All'inizio ho utilizzato Spotify, ascoltandolo dal Mac o dall'iPad, soprattutto per per ascoltare dischi e decidere se valesse la pena di acquistarli in CD, in negozio. Da subito ho apprezzato la comodità della ricerca e della navigazione. Non era più necessario salire in mansarda a frugare nelle tante scatole in cui ho organizzato (con criteri vari) i CD ed i vinili, ma mi bastava digitarne il titolo. Avevo a portata di falange discografie complete, e i titoli (e le cover) di ogni canzone stessi cercando.
Da quando si sono arresi a Spotify anche i Beatles, ne rimangono esclusi praticamente solo Neil Young, i King Crimson e Bob Seger (di cui posseggo comunque praticamente tutti i dischi).
Il 1 gennaio 2016 ho inaugurato l'anno attraversando il Rubicone.
Ho pagato un abbonamento a Spotify Premium, per un costo pari a mezzo CD al mese (in realtà per i primi tre mesi solo un simbolico 0,99 centesimi). In cambio ho avuto l'alta qualità audio e la possibilità di trasmettere in bluetooth e wi-fi. Ho acquistato un affascinante diffusore Marshall in tinta crema per il piano terreno, mentre ho collegato lo stereo hi-fi (Cambridge Audio) della mansarda alla rete wi-fi.
Da questo momento i miei dischi non sono più legati ad un supporto fisico, ma si sono trasformati in pura "vibrazione sonora" per le orecchie. Li scelgo con un click dall'interfaccia digitale, e in una frazione di secondo iniziano a suonare in alta fedeltà. Registro le playlist, che sono a disposizione in rete di chi le vuole vedere.
Quando salgo in automobile, l'autoradio si collega all'iPhone. Anche se in auto non c'è il web (o almeno non a buon mercato), mi basta scaricare da casa una playlist con un clic dell'interfaccia di Spotify. Per motivi di spazio non ne tengo sul telefono che due o tre alla volta. Se non voglio pesare sulla batteria dell'iPhone, anziché che via bluetooth lo collego fisicamente alla presa USB.
Avevo letto che è possibile scaricare i brani anche sull'iPod di Apple, ma non ci sono riuscito. È probabile che Apple stia creando qualche difficoltà a proposito, perché ha inaugurato da poco il proprio sistema di streaming concorrente a Spotify. Per un vecchio utente della mela come me è un servizio allettante, ma l'interfaccia confusa e pesante di Apple Music si è dimostrato non paragonabile alla pulizia e alla intuitività di Spotify. È paradossale per l'azienda che ha inventato l'interfaccia grafica di Macintosh (sic transit gloria mundi).
Cos'è cambiato nel mio modo di ascoltare musica in questi primi giorni?
Che ho aumentato di molto la varietà delle canzoni che ascolto, grazie alla comodità con cui le seleziono. E che ascolto più spesso playlist che album completi. È come ascoltare alla radio programmi di cui scelgo io la scaletta. Ben inteso potrei ascoltare anche playlist di altri; è capitato di farlo con le playlist preparate dai musicisti, come Gov't Mule e Dave Matthews.
Oggi è uscito Blackstar, il nuovo album di David Bowie. L'ho avuto a disposizione da mezzanotte. Però in giornata l'ho comperato anche in CD. Non ha molto senso, me ne rendo conto, ma non si perdono le vecchie abitudini dal mattino alla sera. Probabilmente in futuro continuerò ad acquistare qualche disco dei miei musicisti preferiti; a questo punto però avrà più senso farlo in vinile, dal momento che il file digitale è comunque disponibile.
Cosa manca a Spotify? Naturalmente le copertine, anche se le informazioni di base possono essere ricavate da Wikipedia o dal web. Mi piacerebbero anche dei contatori di ascolto, e delle classifiche di gradimento.
Naturalmente c'è il problema etico. Non quello della crisi delle vendite, che casomai Spotify incrementa, sia pure offrendo margini di guadagno risicati. È una realtà che gli acquirenti di dischi sono rimasti molto pochi, ed era naturale che la musica si sganciasse da un sistema in crisi. I ragazzi non posseggono lettori di CD, e gli impianti stereo hi-fi sono rimasti appannaggio degli ultra cinquantenni. Il problema etico è casomai nei confronti degli amici che ci vendono i dischi, che dovranno prima o poi riciclarsi sulle piadine. Sta accadendo lo stesso anche per le librerie, e non è un processo indolore. Non sono sicuro però che la musica liquida cannibalizzi quella su disco; come ho scritto, i ragazzi non acquistano dischi comunque. È il supporto che si è fatto obsoleto.
Una volta si facevano concerti per vendere dischi, oggi si pubblicano i dischi per legarsi un pubblico per i concerti.
Per i musicisti indipendenti la musica in streaming non è poi è un affare così cattivo. Possono distribuire i propri dischi, sia pure in cambio di poco ma saltando la casa discografica. La stessa distribuzione capillare non possono certo ottenerla nei negozi di dischi.
È come per i libri: io pubblico libri su carta, ma non trovo un distributore, mentre tramite Amazon ed iTunes posso mettere a disposizione i miei eBook in tutto il mondo.
Il dado è tratto, vi terrò informati.