La peculiarità di questo ciclo narrativo è da sempre stata la commistione tematica fra religione e scienza, ragione e mistica,cristianesimo e paganesimo, passato e futuro, sci-fi e thriller,un complesso e stratificato gioco degli opposti, che mette in luce le contraddizioni insite nella società (medievale, attuale, e futura) così come nella religione e nella scienza. Non è infatti un caso che gli argomenti ricorrenti compongano un puzzle, una matrice della nostra civiltà, con al centro il ruolo dell’essere umano, il libero arbitrio, il potere della fede e della ragione, il sonno del quale, come ricorda Goya, genera mostri.
Come sempre nei romanzi di Evangelisti, anche Rex tremendae maiestatis si dipana su diversi piani narrativi che sono prima di tutto diversi momenti temporali: il presente di Eymerich, anno del Signore 1372, nuovamente in missione in Italia del sud, Sicilia e Napoli; la Luna dell’anno 3000, dove si ritrova Lilith, personaggio già noto ai lettori di Black flag; la Gerona dell’infanzia di Eymerich, qui tratteggiato per la prima volta come bambino, nel corso delle più rilevanti esperienze che lo hanno portato sul sentiero dei padri dominicani persecutori dell’errore eretico.
Essendo concepita come conclusione di una grande narrazione, quest’ultima avventura, a differenza delle precedenti, contiene molti rimandi ai romanzi precedenti, soprattutto a Picatrix, Il castello di Eymerich, Il mistero dell’inquisitore Eymerich e Cherudek , la mancata lettura dei quali di certo non pregiudica ma impoverisce la lettura.
I lettori abituali di Eymerich non potranno che sentirsi a loro agio, fra le pagine di Rex tremendae maiestatis, mentre i nuovi lettori rimarranno forse positivamente invasi da una serie di domande, le risposte delle quali potranno tentare di cercare nei libri precedenti.
Durante la lettura si avverte la sensazione di compimento, di chiusura di un cerchio, come se il progressivo avanzare del percorso alchemico scandisca il disvelarsi della realtà delle cose e dell’identità stessa di Eymerich, attraverso l’anagramma Ich eym er: io sono aria.
E nell’evanescenza e nell’impalpabilità della verità si sciolgono anche le rigidità dei dogmi della fede, lasciando paradossalmente il tetragono inquisitore come il personaggio con meno certezze e sicurezze, se non la sua arcigna volontà. Percorso di evoluzione personale, trasfigurazione, oltre-uomo, questo è ciò che il passato e il futuro suggeriscono e hanno in serbo per l’inquisitore.
Evangelisti, chiamato al difficile compito di dare una degna conclusione alla sua importante creatura letteraria, porta in campo tutti gli elementi presentati nel corso di questi anni ai suoi lettori, forgiando una narrazione molto densa di materiale, come sempre ben documentata e di ampio respiro, ma che forse non ha, per le sue caratteristiche di sintesi ed epilogo, la forza e l’impatto di altri suoi romanzi, soprattutto i grandiosi Il mistero dell’inquisitore Eymerich e Cherudek, ma che risolleva le quotazioni qualitative dopo due opere un po’ sottotono come Il castello di Eymerich e La luce di Orione.
A parte le legittime preferenze personali, una grande e meritevole conclusione, per una delle saghe sci-fi/horror/fantasy/hystorical-thriller più significative in Italia, e non solo.
« Rex tremendae maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis. »