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Riassunti: Francesco Margani, prima parte

Da Narcyso

Francesco Margani, LA CENERE PRIMA DEL DILUVIO, prefazione di Vincenzo Consolo, poeti di clanDestino 1998 , riedito da FORME LIBERE, 2010

Siamo nel clima dell’irrompere della voce, uno dei temi cardini della poesia di quegli anni che già declinava verso forme più piane, più consone al reale. Qui la percepiamo in versi come “l’ospite sarà sempre un ospite”, “una voce entra nel silenzio“… che trainano un clima notturno di isolamenti e tragedie “tace il vento, oltre i cumoli / di sabbia… – ma anche di fughe dalla città, dalle parole opache, da cui evidentemente la poesia vuole fuggire.
Una geografia che ricorda certe ombre surrealistiche: Reverdy, o il nostro Vigolo, una metafisica che affonda dentro al lato oscuro della materia, dentro il nome celato nelle cose.

In effetti la città non scompare, piuttosto è descritta con l’occhio funereo della consapevolezza:

NELLA SECCA
Le palpebre inabissate nella secca
un velo d’acqua le copre,
labbra umide aperte ai riflessi
dei fiori di limone.
Di tanto in tanto affiorano
le pupille come un faro
compiono un giro di 360°:
la città è decrepita,
scheggiata nel languore dei colori,
rianima alle grida dei venditori.
p. 20

Spesso i paesaggi, pur esistendo veramente, si fanno altro, sono catturati dall’occhio strabico della poesia e proiettati verso allucinazioni interiori: i giardini, il polline, la neve, l’attesa...
Una stanza è descritta attraverso una lente deformata e strabica.

BONSAI
Il comodino è in versione bonsai.
Costeggiato dalla cenere
delle nazionali senzafiltro.
La sveglia allenta l’attacco, pone fine
alla risoluzione finale.
Il pacchetto accartocciato
con la enneblu strabica
guarda e strizza la coda.
Urli da fuori stanza
impediscono l’invasione.
L’occhio tratto in inganno non vive.
In controcampo la predica del rispetto.
p. 22

Invasioni, si chiamava un libro di Antonio porta del 1984 e il tema è sicuramente da ascrivere al contesto della voce.

Del resto tutti i movimenti di moto a luogo, l’acqua uscita dalla membrana, con conseguente sconvolgimento delle nervature lessicali, ci indicano l’appartenenza a un clima letterario ben individuabile, con tratti di distinzione che riguardano, piuttosto, il modo, più o meno riuscito, in cui le immagini svettano nella loro chiarezza. I paesaggi, in particolare, ricordano una Sicilia notturna, estraneata, e di conseguenza un barocco edulcorato dalle sue stravaganze romane e ridotto ad attesa delle forme prima del suo traboccamento.

IL PORTAFRUTTA
Il portafrutta in vetro esposto
in bella mostra è vuoto
come una testa cava.
L’ansia dell’incontro, la buccia
e il dente avvelenato
oscuro come una camera oscura.
p. 28

Questa archeologia delle forme si costruisce in prime immagini ruvide dell’occhio e ci appare come substancia, relitto, margine o ancora attesa.

LA REGIA TRAZZERA
La regia trazzera
resiste all’urto dei denti,
i gommati barcollano nei vuoti della pietra.
Mosaico da ricomporre. Ossa di sauri
reliquie raccolte dalle sabbie.
Ginestre e palme chiudono la vista.
Una porzione di terra,
carciofi fioriti,
un’onda blu trancia i rilievi arsi
all’insaputa del torrente.
Sugli steli i petali di papavero tramano.
p. 29

Non per ultimo, certo, queste immagini corteggiano il sogno, si vedano i bellissimi testi che concludono la raccolta e che ancora una volta mi fanno pensare a Reverdy, ai suoi paesaggi precisi e spogli, spia di uno spaesamento, di una perdita tra le maglie stringenti delle città.

LA CITTA’
1
Lo sai – disse – la città si spoglia.
Il caldo umido incolla i vestiti
sulla pelle e non trovi nessuno
che ti possa parlare nella luce.
Aspetta – disse – la città si spoglia
non andare.
Ritmi invadono le stanze,
i gerani contro i vetri.
Lasci una schiuma lucente
bava il vento principio di bufera.

2
Le rondini sfrecciano in raid millimetrici
tra torri e campanili,
danzano le linee dei tram.
Difficile dire o ipotizzare il punto:
la scissione delle ali,
l’incontro fortuito della lingua.
L’insetto, la calce, la polvere
residui palpitanti del crollo.

3
Stasera la luna è ferma.
Il treno sussulta,
di tanto in tanto
batte in coda,
agonizza sui binari.
L’acqua scola ai margini,
l’asfalto sventrato s’amalgama
al fetore, ai rottami.
Un insulto il silenzio
degli annunciatori.
“CITTA’ CHIUSA PER RESTAURO”

8
Un inganno il diluvio.
L’acqua stringe i tempi,
sospesa la curva dell’iride
divampa ferrea senza clamore.
Ogni cosa ritorna al proprio posto.
La polvere ha tracciato il grafico.
Non si rilevano perdite, se non
i piccoli oggetti durante i traslochi.
Si spiombano i sigilli delle porte,
ognuno misura il proprio raggio,
minima garanzia per la fuga.
Il volo, il cambio,
il bilancio a fine stagione.
Tutti l’aspettano guardando le diagonali
il movimento delle stelle, il chiaro di luna,
vendetta a delle promesse non mantenute.
La cenere prima del diluvio.
p. 38

Poesia della condizione metropolitana, poesia dell’odierna condizione umana, del malessere nostro in ogni luogo, in questo tempo.
(dalla prefazione di Vincenzo Consolo)


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