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Ribelli e partigiani, storie dal passato

Creato il 07 novembre 2014 da Pietro Acquistapace
Pavnbattle

Vietcong durante la Guerra del Vietnam

A volte capita di riprendere in mano dei libri, rileggerli e scoprire dei significati del tutto sfuggiti nella lettura precedente. Mi ricordo mi capitò con Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, solito libro imposto a scuola ed al tempo non capito. Ora lo stesso mi succede con Asce di guerra, scritto dal collettivo Wu Ming in collaborazione con il partigiano Ravagli. Non un ex-partigiano, parafrasando il titolo di un altro libro interessante ma molto meno coinvolgente, ma un uomo che partigiano lo è stato per tutta la vita. Ho riletto questo libro grazie all’invito di un lettore di Farfalle e Trincee, spinto inolte dal fatto che dalle sue pagine emerge la storia recente di un paese poco presente nel nostro immaginario: il Laos.

Il libro si svolge su di un binario parallelo, che anni fa non avevo compreso. Da un lato le vicende di Ravagli, volontario al fianco dei comunisti laotiani al tempo della guerra del Vietnam, dall’altro le vicende movimentiste italiane di fine secolo, vale a dire a cavallo dell’anno 2000. La prima volta che lessi Asce di guerra ero molto più interessato ai movimenti ed alla politica, molto meno alle vicende del Laos, nome che mi diceva poco, molto meno del Vietnam di Ho Chi Minh. Ora le cose sono cambiate, la scoperta dell’Asia e la revisione di alcune idee mi hanno letteralmente aperto un nuovo mondo, il mondo che Vitaliano Ravagli lascia solo intravedere.

I Wu Ming hanno grande onestà ammettendo che il tentativo di legare i due piani del libro risulta molto debole, per non dire controproducente. Asce di guerra infatti sembra essere scritto per chi già condivide le idee degli autori, tara questa che si ritrova spesso nelle opere di autori impegnati o politicamente connotati. Tuttavia le vicende di Ravagli in Laos dicono molto, anche cose che contraddicono quel filo rosso con cui gli autori tentano di unire i diversi livelli del racconto. Forse sarebbe stato meglio limitare la narrazione alla guerra del Vietnam ed alla lotta partigiana, ne sarebbe uscito un messaggio molto più forte ed autorevole, senza nulla voler togliere a chi nei cortei si prende qualche manganellata.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale il Partito Comunista Italiano dovette gestire il problema della smilitarizzazione delle forze partigiane: dopo avere combattuto contro nazisti e fascisti non tutti accettarono passivamente gli ordini di tornare ad una normale quotidianità. Se molti furono i partigiani dell’ultima ora molti furono anche quelli che di essere partigiani non smisero mai. Il PCI voleva l’ordine, l’applicazione delle politiche decise da Mosca che vedevano un’Italia ormai assegnata alla squadra dell’occidente, dove la rivoluzione non era e non doveva essere possibile. I partigiani erano eroi e dovevano restarlo, ma in occasione di comizi e cerimonie.

La Resistenza doveva diventare un rito collettivo, con le proprie vestali a custodirne il sacro fuoco, non c’era più posto per chi aveva combattuto per fini che non erano certo avere a fine guerra un’Italia democristiana. I fascisti, soprattutto quelli anonimi e vera spina dorsale del fascismo, vennero amnistiati mentre molti partigiani si trovarono ad essere incriminati per reati vari da una magistratura spesso collusa col precedente regime. In Italia servivano dirigenti e burocrati, si decise di utilizzare quelli che già esistevano, poco male che funzionari e passacarte fossero stati fascisti fino al giorno prima. C’era una nazione da ricostruire, costasse quel che costasse.

Una soluzione per i partigiani ricercati fu la fuga dietro la cortina di ferro, tramite una rete clandestina organizzata dal PCI, ma senza troppa pubblicità, si poteva arrivare a Praga. Ma c’era anche chi decideva di continuare a lottare per un ideale sul campo, non dalle colonne dei giornali o dai microfoni di una radio, tra questi vi fu Ravagli. In Asce di Guerra sono tuttavia numerosi gli italiani che come fantasmi sfuggenti appaiono combattenti tra le giungle laotiane, vite e morti anonime non celebrate e non utili alla causa; probabilmente addirittura scomode al comunismo italiano di allora, come emerge dai dettagli dei fatti narrati dai Wu Ming.

Un libro quindi che tocca temi spinosi come la retorica antifascista nell’Italia del dopoguerra o la “normalizzazione” imposta dal PCI, forse il vero partito d’ordine nella storia d’Italia. I partigiani come Ravagli erano “teste calde” da emarginare, portatori di un ribellismo da sradicare e tenere lontano dalle fila dei militanti, tesserati di un comunismo che in Occidente aveva scelto (o subito) la via elettorale al sol dell’avvenire. La Resistenza fu molto più complessa di come descritta ufficialmente e coloro che la fecero davvero meritano più di una commemorazione spesso retorica . La “propaganda del fatto”, come può esserlo la narrazione di storie come quella di Ravagli, vale forse più di mille conferenze.


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