Domenica è il giorno del Signore per tutto il mondo. Per me è il giorno della noia più dilagante. Saranno le mie radici ebraiche ma sono sempre stato un gran estimatore del Sabato.
È uno di quei giorni in cui svegliarsi presto è triste, svegliarsi tardi invece lo è ancora di più perché ci si sente indolenti e non si combina nulla.
È il giorno delle pulizie, del cambio delle lenzuola e dei film. Stamane mi sono svegliato e le prime parole che ho pronunciato sono state “Ma diamine!” perché il cellulare era caduto e si era aperto in ventimila pezzi. Buongiorno mondo, che bel sole che brilla alto in cielo. Ci sono perfino gli uccellini che canticchiano come in Cenerentola. In realtà non trovo le ciabatte, apro la finestra e piove e ho un alito che potrebbe estinguere il genere umano.
Ho studiato nonostante avessi tutt’altro per la testa, ho mangiato un’insalata fatta a casaccio mentre la mia coinquilina mi faceva venire la tristezza con il suo brodo di verdure bollite. Tu, a Giugno, bevi un brodino ustionante che fa venire caldo anche alla signora del primo piano? No comment.
Ho fatto finta di passar l’aspirapolvere perché in verità mi servirebbe un’idro-pulitrice e poi ho deciso che dovevo uscire con Francis, altra milanese della bassa catapultata a Parma per sbaglio/caso, reduce da una “lotta” amorosa di tre giorni. Il suo fedele “concubino” non ha nome o cognome. Solo un numero. 89, buona annata suggerisce la giuria.
“Esco Paola, ci vediamo dopo” dico convinto che sia nella sua camera. Una voce risponde alle mie spalle, proviene dal bagno. Sento lo spruzzo alle erbe selvatiche e capisco che era in “riunione”. Udienza papale sul trono. “Cose grosse” penso ridendo.
Apre la porta, mi guarda. “Ma esci con gli shorts? Guarda che fra poco piove, senti che vento”. Non ha ancora capito con chi ha a che fare. “Ma che piove, tutta una farsa, saranno a dir poco due gocce”. Le ultime parole famose.
Sono un fervido sostenitore della bicicletta. La uso anche quando minaccia di grandinare, l’importante è arrivare asciutti. Poi quando si torna a casa è un altro problema.
Arrivarci fradicio è proprio da me. Pedalando come un vero ciclista verso casa ho preso tutte le pozzanghere del Lungo Parma, mi sono fatto schizzare addirittura dalle macchine ridendo come un pirla. Non c’è altro termine e il milanese aiuta sempre.
Nelle scarpe sentivo i girini diventare grandi, fare la prima comunione e sposarsi. Il mio cellulare ormai subacqueo cercava invano di vibrare e gli shorts da cinquanta centesimi sbuffavano stufi di vivere con me da Giugno a Settembre.
Arrivato a casa ormai in canoa, chiedo alle mie coinquiline pugliesi di darmi un asciugamano. Mi assale un odore di fritto infausto, un marciume d’olio indescrivibile. Sono corso in camera a cercare dell’ossigeno e ad assicurarmi che non avessero fritto anche le tende. Sono due i momenti in cui una pugliese D.O.P. frigge. Quando è tremendamente allegra e quindi non si accorge che butta nell’olio bollente anche pezzi d’arredamento vario oppure quando il giorno dopo un ospite ritorna sulla strada di casa. Un dramma in entrambi i casi, soprattutto per il condominio.
Il vero motivo di questo post era ricattarvi moralmente, fisicamente e psicologicamente. Noi italiani abbiamo stracciato i maroni per ottenere questo beneamato diritto di voto, abbiamo combattuto, le donne si sono addirittura infervorate per smettere di fare la maglia e barrare la scheda elettorale. E ora? Tutti al mare, tutti a Forte dei Marmi alla Capannina, a mostrare chiappe chiare, pelose e tatuate. Eh no, non mi sta mica bene, sapete?
Se io ti bacio sotto una pioggia torrenziale imitando “I ponti di Madison County” sulla circonvallazione come minimo mi chiedi di uscire. Se ti penso alla fontana di Trevi prendi il Frecciarossa e mi chiedi la mano. Se ti ho concesso il diritto di voto hai il dovere di andare ai seggi anche se Sabrina Ferilli non ti promette uno spogliarello.
Sui primi due casi meglio stendere un velo pietoso. La pioggia induce a comportamenti socialmente deviati e il tuo romanticismo ti acceca fino al punto che scordi di mettere le quattro frecce facendoti insultare da tutti gli automobilisti di Viale Umbria.
Andate a votare, vi prego. Andate a votare. Se poi sbarrate le caselle sui quattro SI io vi posso anche limonare. Vi aspetto sotto casa, metto un tavolino bianco, di quelli tristi e desolanti, sporchi di nero e con la gamba sbilenca, mi fate vedere la tessera elettorale e se volete pomiciamo davanti a tutti i vicini. Altrimenti una stretta di mano e qualche battuta semi-divertente ( semi perché non ci sarebbe nulla da ridere nella normalità) su Berlusconi.
Vi offro pure da mangiare, ovvero aprite il frigo e cucinate. Evitate di guardare con circospezione il mio ripiano. Sì, sono capace di far germogliare anche le carote, e allora? A voi non è mai capitato di tornare dopo una settimana e trovare un limone vecchio e barbuto accanto ad una piantagione di ortaggi misteriosa? Io sono il campione di queste coltivazioni.
Detto questo, il referendum non è una festa. Non si deve partecipare solo se si regalano gadget, vi fanno sconti al supermercato oppure vi accompagnano in limousine. Votare è un diritto e anche un dovere, è il nostro modo di poter dire “La potete finire di toglierci anche la sedia da sotto al culo?”.
Chissà che qualcuno finalmente ci faccia sdraiare su un comodo triclinio.
Lorenzo Bises