La giovane Alice White (Anny Ondra), dopo aver litigato con il suo fidanzato l’agente di Scotland Yard Frank Webber (John Longden), cede alle avance dell’artista Mr. Crewe (Cyril Ritchard) e per ingenuità lo segue fino al suo appartamento. Quando l’artista tenta di violentarla lei, preso un coltello, lo uccide e fugge dall’appartamento. Quando il fidanzato viene mandato ad indagare sul caso trova un guanto della ragazza e lo nasconde credendo che l’omicidio sia avvenuto dopo la visita di Alice. Quando tutto sembra sistemato si presenta improvvisamente uno strano personaggio, Mr. Tracy (Donald Calthrop), che possiede l’altro guanto della ragazza che sostiene di aver trovato proprio nella stanza dove è avvenuto il crimine. In un crescendo di tensione l’uomo inizia a ricattare la coppia in maniera sempre più incalzante.
Il film è davvero ben costruito e della giusta durata per mantenere alta la tensione. Impossibile non avere dei brividi di emozione nell’assistere a quella che potrebbe essere definita la nascita di tutto (considerando The Lodger come una sosta di fase di gestazione). Hitchcock è abile nel sapere capovolgere la bilancia di tensione che lega la coppia al misterioso Mr. Tracy, e regala infine un incredibile inseguimento dal finale drammatico. Proprio Donald Calthrop è l’attore che maggiormente colpisce per la sua profondità e interpretazione del malvagio ma fragile Tracy, che appena si vede messo con le spalle al muro perde la capacità di ragione e va incontro ad una inevitabile morte. Come già detto per l’articolo su Cinefilia Ritrovata, Micheal Powell sostenne di aver invetato lui il finale alternativo con l’inseguimento al museo, che differisce rispetto alla versione originale dell’opera di Bennett che terminava con la scoperta che nessun omicidio era stato compiuto. Ma sempre Charles Barr ha fatto un paragone interessante per Hitchcock: egli, sostiene lo storico del cinema nella sua lezione sui muti del regista, seppe comportarsi come una spugna in grado di prendere quanto di meglio dai suoi collaboratori e farlo poi suo nel modo migliore. La lezione imparata con Blackmail, insomma, non è mai stata dimenticata da Hitch che ha saputo trarre il meglio da tutte le sue esperienze anche quelle mute purtroppo spesso bistrattate. Un muto da vedere e rivedere anche grazie allo splendido lavoro di restauro operato dal BFI che è riuscita a ridare splendore ad una pellicola incredibile.
Approfondimenti: per maggiore informazioni vi invito a consultare l’articolo presente su Cinefilia Ritrovata.