20 gennaio 2015 Lascia un commento
Ancora un "Riccardo III"? Si certo ma con intelligenza e ingegno.
Voglio dire, cosa puo’ dire il cinema piu’ del teatro specialmente quando il precedente piu’ celebre e’ nientepopodimeno che il "Riccardo III" di Laurence Olivier, campione imbattibile impossibile da migliorare in interpretazione e messinscena.
Oltretutto mettiamoci nei panni di Loncraine in concorrenza col vicino "Riccardo III – Un uomo, un re", la bella variante statunitense di Al Pacino, quindi che fare?
Loncraine lavora assieme a Ian McKellen, protagonista sul quale poggia l’intero peso dell’opera ed evidentemente la responsabilita’ dell’adattamento del testo. La curiosita’ e la novita’ sta infatti nello spostare la vicenda ai primi degli anni ’30 all’interno di una monarchia inglese ucronica ed aggiornata al XX Secolo, un cambio che e’ meramente estetico per quanto funzionale alla presa del potere di Riccardo che in breve tempo declina al nazismo.
La traslazione temporale in fondo non inficia e non esalta la storia di per se non voglio dire perfetta ma straordinariamente efficace.
D’altro canto la fedelta’ al testo Shakespeariano e’ profonda, tagliata, rimaneggiata finche’ si vuole ma della sostanza poco o niente viene perduto. Riccardo resta un uomo rancoroso e profondamente malvagio malgrado sia egli stesso vittima del destino che ne ha fatto un mostro deforme al quale non resta altro che vendicarsi crudelmente su chi gli sta vicino e conquistare il trono piu’ per spregio che per reale bramosia di potere e basti vedere le pretese su Lady Anna.
Ovviamente serve un grande interprete e non si puo’ dire che McKellen non lo sia. Padrone del testo da lui elaborato, incarna perfettamente il viscido atteggiarsi di Riccardo, accentua la deformita’ esteriore per esaltare la bruttezza d’animo anche perche’, senza il carisma di un Olivier, tutto serve per definire Riccardo al peggio.
Senza molti elenchi, l’eccellenza vale anche per i comprimari perche’ ricordiamolo, Shakespeare deve restare in Inghilterra e la licenza per cosi’ dire poetica di rendere americani la regina Elisabetta e il fratello, sottolinea la necessaria territorialita’.
Entusiasta no, piacevolmente colpito si. Comunque consigliato.
Voglio dire, cosa puo’ dire il cinema piu’ del teatro specialmente quando il precedente piu’ celebre e’ nientepopodimeno che il "Riccardo III" di Laurence Olivier, campione imbattibile impossibile da migliorare in interpretazione e messinscena.
Oltretutto mettiamoci nei panni di Loncraine in concorrenza col vicino "Riccardo III – Un uomo, un re", la bella variante statunitense di Al Pacino, quindi che fare?
Loncraine lavora assieme a Ian McKellen, protagonista sul quale poggia l’intero peso dell’opera ed evidentemente la responsabilita’ dell’adattamento del testo. La curiosita’ e la novita’ sta infatti nello spostare la vicenda ai primi degli anni ’30 all’interno di una monarchia inglese ucronica ed aggiornata al XX Secolo, un cambio che e’ meramente estetico per quanto funzionale alla presa del potere di Riccardo che in breve tempo declina al nazismo.
La traslazione temporale in fondo non inficia e non esalta la storia di per se non voglio dire perfetta ma straordinariamente efficace.
D’altro canto la fedelta’ al testo Shakespeariano e’ profonda, tagliata, rimaneggiata finche’ si vuole ma della sostanza poco o niente viene perduto. Riccardo resta un uomo rancoroso e profondamente malvagio malgrado sia egli stesso vittima del destino che ne ha fatto un mostro deforme al quale non resta altro che vendicarsi crudelmente su chi gli sta vicino e conquistare il trono piu’ per spregio che per reale bramosia di potere e basti vedere le pretese su Lady Anna.
Ovviamente serve un grande interprete e non si puo’ dire che McKellen non lo sia. Padrone del testo da lui elaborato, incarna perfettamente il viscido atteggiarsi di Riccardo, accentua la deformita’ esteriore per esaltare la bruttezza d’animo anche perche’, senza il carisma di un Olivier, tutto serve per definire Riccardo al peggio.
Senza molti elenchi, l’eccellenza vale anche per i comprimari perche’ ricordiamolo, Shakespeare deve restare in Inghilterra e la licenza per cosi’ dire poetica di rendere americani la regina Elisabetta e il fratello, sottolinea la necessaria territorialita’.
Entusiasta no, piacevolmente colpito si. Comunque consigliato.