Lo so, lo so. E’ molto che non mi faccio sentire: Troppi mesi sono trascorsi e chissà quante cose pensate possano essere accadute. A livello professionale molte, ma nessuna di queste ha portato a un lavoro. Sul piano personale, invece, la notizia è che sono rientrata in patria e il lavoro me lo sto cercando da qui, non più dall’altro lato della manica. La costante è quindi che sono sempre alla ricerca di un lavoro.
Ho scritto diversi post ma per un motivo o un altro non li ho pubblicati, ma sono tutti qui, più o meno pronti che aspettano un pò di correzioni, lo farò prima o poi. Oggi però non resisto proprio alla tentazione di raccontare solo l’ultimo degli episodi della serie “Ricerca di lavoro in Italia“, lo pubblico così, un pò di getto e senza troppo editing, passatemi qualche svista quindi.
Dopo mesi di invio curricula e qualche lavoretto saltuario da freelance, sono riuscita a rimediare un colloquio a Roma. E’ successo la settimana scorsa. A dire la verità ben due colloqui. Il primo infatti era andato talmente bene, che il tizio mi ha invitata ad un secondo incontro.
Al termine del primo mi era stato richiesto di studiare il sito per il quale mi stavo candidando a diventare curatrice di contenuti, dare un’occhiata al tipo di lavoro e capire se mi poteva interessare. L’ho fatto. Ho visto che poteva interessarmi, dopodichè ho telefonato al mio ipotetico futuro datore di lavoro per dare la mia disponibilità per il nostro secondo appuntamento.
Mi presento quindi, sorridente e positiva nel lussuoso ufficio di quello che considero già il mio futuro capo. Mi siedo di fronte a lui che parte subito chiedendomi se ci ho pensato e se ho buttato giù qualche idea. Gli elenco le mie idee e subito dopo, non sapendo ancora di che tipo di impegno e di contratto si stia parlando, mi permetto di chiederlo, così come mi permetto di chiedere, visto che mi viene offerta la possibilità di porre delle domande, qualche informazione in più su programma di lavoro, orari e compenso economico.
Di tutta risposta mi viene detto che sono io a dover proporre un prospetto di lavoro, che riceverà un compenso in base ai frutti che produrrà e che dipenderà solo e solamente da me e dalla mia strategia di lavoro. Tale strategia deve essere frutto non delle conoscenze acquisite durante gli studi e soprattutto le precedenti esperienze professionali, ma di una naturale capacità di creare un risultato attraverso l’attuazione di un non ben identificato prospetto lavorativo assolutamente originale e mirato. Non è chiaro? Lo so, non lo è neanche a me. Ma questo è ciò che il tizio, credo di aver capito, volesse.
Quindi ci riprovo e insisto un pò per capire che tipo di impegno mi si richiede. La risposta è che dipende da me e dalle mie strategie e dalla riuscita del mio piano di lavoro. Avevo capito bene alla prima botta, ma voglio andare a fondo. Chiedo quindi se è possibile capire almeno vagamente di che tipo di compenso si tratta, perchè da quello valuterei anche quanto tempo potrei dedicare alla ricerca di queste strategie. Il tipo allora si altera perchè dice che sono io che devo dirgli le mie strategie, presentargli un “prospetto di lavoro” e poi iniziare a lavorare. Al che io rispondo che, solitamente, è il datore di lavoro che porpone al candidato un tipo di lavoro, una posizione e un compenso economico che l’aspirante lavoratore può decidere di accettare o meno insieme a tutta una serie di altre condizioni. Aggiungo inoltre che non mi sembra il caso di lavorare ad un progetto senza sapere se ne riceverò qualcosa in cambio. – E se non dovesse piacerle? Avrei buttato via tempo e viste tante delle mie esperienze passate negative, non vorrei ripetere l’errore – dico al tizio. Al che il tipo si mette sulla difensiva e si altera anche un pò perchè, dice, citare esperienze passate negative lo offende poichè ne mette in dubbio la buona fede e reputazione.
Dopo qualche tentativo di ristabilire un dialogo sereno col tizio, capisco che ormai è andata, lo faccio presente e lui mi fa presente, che a volte le cose andrebbero tenute per sé, taciute, non esplicitate. Aggiunge inoltre che se è nata una polemica durante il colloquio, figuriamoci cosa potrebbe accadere durante il quotidiano rapporto lavorativo. Come dargli torto?
Inutile dire che l’incontro si è concluso con una fredda stretta di mano e il velato, ma non troppo, sguardo tra due persone che sanno che la loro relazione ha subito dei danni irreversibili che ne determinano la fine, ancor prima che se ne sia potuto vedere l’inizio.
Ricapitolando – cosa non fare durante un colloquio di lavoro:
- NON fare nessun cenno al compenso economico e all’impegno richiesto (anche se è il secondo incontro e al primo non ti hanno fatto capire QUANTO e SE ti pagheranno e anche se hai 35 anni e nessuna voglia di perdere tempo dietro all’ennesima illusione-fregatura);
- NON fare troppe domande sul tipo di lavoro che dovrai svolgere: risulteresti scemo perchè sei tu che devi proporre un piano di lavoro, una strategia e un metodo. Lavora piuttosto in via preventiva: prepara un programma di lavoro, con tanto di idee tue e strategie proposte, poi se piace forse ti pagano, in base a quanto crederanno sarà opportuno. Sennò le idee comunque gliele hai date e dovrai sentirti onorato quando, con ogni probabilità, le utilizzeranno senza rendertene alcun credito;
- NON citare esperienze passate negative che ti spingono a non voler lavorare senza prima aver pattuito un compenso perchè risulteresti offensivo e rischi di farli mettere in una posizione difensiva avendone messo in dubbio la buona fede e reputazione;
- NON accennare assolutamente al fatto che hai qualche anno di esperienza siano essi in Italia o all’estero perchè scopriresti, con tua grande delusione, che tanto tutto ciò che sai non conta, è inutile, probabilmente sbagliato e che tanto tu non vali un cazzo comunque!