27 dicembre 2014 Lascia un commento
III – LA RELAZIONE TRA LA FISICA E LE ALTRE SCIENZE
Introduzione
La fisica è, fra le scienze, la più fondamentale e completa, e ha avuto una profonda influenza su tutto lo sviluppo scientifico. Infatti la fisica è l’equivalente odierno di ciò che un tempo si chiamava filosofia naturale, da cui sono nate quasi tutte le scienze moderne. Studenti delle discipline più diverse si ritrovano a doverla studiare, a causa dell’importanza che riveste in tutti i fenomeni. In questo capitolo cercheremo di descrivere i problemi principali nelle altre scienze, ma naturalmente è impossibile in così breve spazio trattare adeguatamente le questioni complesse, sottili ed eleganti che sorgono in questi campi. La mancanza di spazio ci impedisce anche di descrivere il rapporto tra la fisica e l’ingegneria, l’industria, la società, la guerra, e perfino la relazione, veramente notevole, tra fisica e matematica. (La matematica non è una scienza, dal nostro punto di vista, nel senso che non è una scienza naturale. La verifica della sua validità non è l’esperimento). Fra l’altro, dobbiamo chiarire fin dall’inizio che se una cosa non è una scienza, non necessariamente è un male. Per esempio, l’amore non è una scienza. Quindi, se diciamo che qualcosa non è una scienza, non vuol dire che, in essa, c’è qualcosa che non va: vuol dire solo che non è una scienza.
Chimica
La scienza forse più profondamente influenzata dalla fisica è la chimica. Storicamente, ai suoi albori la chimica si interessava quasi esclusivamente dei fenomeni che ora ascriviamo alla chimica inorganica, cioè quella che tratta le sostanze non legate alla vita. Fu necessario un notevole lavoro di analisi per scoprire l’esistenza dei vari elementi e le loro relazioni: come si uniscono a formare i composti relativamente semplici nelle rocce, nella terra, ecc. Questa chimica «primordiale» fu molto importante per la fisica. L’interazione tra le due scienze fu grandissima, perché la teoria atomica fu convalidata in gran misura da esperimenti di chimica. La teoria della chimica, cioè delle reazioni vere e proprie, venne in gran parte riassunta dalla tavola periodica di Mendeleev, che rivela molte relazioni strane fra i vari elementi, e la chimica inorganica è costituita proprio dalla raccolta delle leggi che dicono quali sostanze si combinano con quali altre, e come. Tutte queste regole in definitiva sono state spiegate dalla meccanica quantistica, così che la chimica teorica è in effetti fisica. D’altra parte, bisogna sottolineare che questa spiegazione esiste solo in linea di principio: abbiamo già detto della differenza tra conoscere le regole del gioco degli scacchi e saper giocare; così succede che magari sappiamo le regole, ma non giochiamo molto bene. È molto difficile prevedere esattamente cosa succederà in una data reazione chimica; ciò nonostante, la parte più profonda della chimica teorica sfocia nella meccanica quantistica. C’è anche un’altra area della fisica e della chimica che venne sviluppata insieme da entrambe le discipline, ed è estremamente importante. Si tratta del metodo della statistica applicato in una situazione in cui vi siano leggi meccaniche, chiamato giustamente meccanica statistica. In ogni reazione chimica sono coinvolti moltissimi atomi, e, come abbiamo visto, gli atomi si agitano e si muovono casualmente in ogni direzione. Se potessimo analizzare ogni singola collisione e seguire in dettaglio il moto di ogni molecola potremmo sperare di prevedere il risultato, ma la quantità di dati numerici necessaria a tale scopo eccede di gran lunga la capacità di qualsiasi calcolatore, figuriamoci quella della mente umana, e quindi era importante sviluppare un metodo per trattare situazioni così complicate. La meccanica statistica, dunque, è la scienza dei fenomeni del calore, o termodinamica. La chimica inorganica è, come scienza, ridotta essenzialmente a ciò che si chiama chimica fisica e chimica quantistica; la chimica fisica studia le velocità di reazione e cosa succede nei dettagli (come si urtano le molecole? quali pezzi vengono scaraventati via per primi? ecc.), e la chimica quantistica ci aiuta a capire cosa succede in termini di leggi fisiche. L’altra area della chimica è la chimica organica, cioè quella che tratta le sostanze legate alle cose viventi. Per un certo tempo si è creduto che le sostanze legate alla vita fossero così meravigliose da non poter venire prodotte artificialmente a partire da materiale inorganico. Questo non è vero affatto: le sostanze sono le stesse della chimica inorganica, solo gli atomi sono disposti in maniera molto più complicata. La chimica organica ovviamente è in strettissima relazione con la biologia, che le fornisce le sostanze, e con l’industria, e, inoltre, sia la fisica chimica che la meccanica quantistica si possono applicare a composti sia organici sia inorganici. Tuttavia, i problemi principali di chimica organica non riguardano questi aspetti, ma piuttosto l’analisi e la sintesi delle sostanze formate nei sistemi biologici, nelle cose viventi. Questo porta impercettibilmente, passo dopo passo, verso la biochimica, e poi alla biologia stessa, ovvero la biologia molecolare.
Biologia
Eccoci alla scienza della biologia, che è lo studio delle cose viventi. Ai suoi albori, i biologi hanno dovuto affrontare il problema, puramente descrittivo, di scoprire tutte le cose viventi, e quindi dovevano fare cose come contare i peli sulle zampette delle pulci. Dopo aver risolto questi problemi, avendoci lavorato con grande interesse, i biologi si dedicarono ai meccanismi interni dei corpi viventi, prima da un punto di vista grossolano, a causa, naturalmente, dello sforzo necessario a entrare nei dettagli. Ci fu un primo interessante collegamento tra fisica e biologia, in cui la biologia aiutò la fisica a scoprire la conservazione dell’energia, dimostrata per la prima volta da Mayer in relazione alla quantità di calore assorbito ed emesso da una creatura vivente.
Se osserviamo più da vicino i processi biologici di animali viventi, vediamo molti fenomeni fisici: la circolazione del sangue, pompe, pressione, ecc. Ci sono i nervi; sappiamo bene cosa succede se poggiamo il piede su una pietra tagliente: in qualche modo l’informazione parte dalla gamba e sale su. È interessante come questo avviene. I biologi sono giunti alla conclusione che i nervi sono tubi strettissimi con una parete molto complessa e sottile; attraverso questa parete la cellula pompa ioni, così che ci sono ioni positivi all’esterno e negativi all’interno, come in un condensatore. Ora, questa membrana ha un’interessante proprietà: se «si scarica» in un punto (cioè se alcuni ioni riescono ad attraversare una certa zona in cui quindi il voltaggio risulta ridotto) l’influenza elettrica si fa sentire sugli ioni circostanti, e di conseguenza la membrana lascia passare gli ioni in un punto nelle vicinanze. Questo a sua volta influenza una zona vicina, ecc., così che si forma un’onda di «penetrabilità» della membrana che si propaga lungo la fibra quando viene eccitata a un’estremità (per esempio poggiando il piede su una pietra tagliente). Quest’onda è paragonabile a ciò che succede in una fila di tessere del domino messe in verticale l’una accanto all’altra: se la prima viene fatta cadere, questa spinge la seconda, che spinge la terza, ecc. Naturalmente si potrà trasmettere un messaggio solo, a meno che le tessere non vengano rimesse in piedi; analogamente nelle cellule nervose ci sono processi che pompano fuori lentamente gli ioni di nuovo, così che il nervo sia pronto a trasmettere un altro impulso. Così sappiamo cosa stiamo facendo (o perlomeno dove siamo). Naturalmente gli effetti elettrici associati all’impulso nervoso si possono rilevare con strumenti elettrici, e, dato che sono proprio effetti elettrici, la fisica relativa ha avuto grandissima influenza sulla comprensione del fenomeno. L’effetto opposto è che, da qualche punto del cervello, viene mandato un messaggio lungo un nervo. Cosa succede alla fine del nervo? Là il nervo si ramifica in sottili filamenti connessi a una struttura vicina a un muscolo, chiamata placca motrice. Per ragioni non esattamente chiare, quando l’impulso raggiunge la fine del nervo vengono rilasciate piccole quantità di una sostanza chiamata acetilcolina (cinque, dieci molecole alla volta) che interessano la fibra muscolare facendola contrarre. Com’è semplice! Che cosa fa contrarre un muscolo? Un muscolo è costituito da un gran numero di fibre molto vicine, contenenti due sostanze diverse (miosina e actiomiosina), ma il meccanismo attraverso il quale la reazione chimica indotta dall’acetilcolina riesce a modificare le dimensioni della molecola non è ancora noto. Quindi i processi fondamentali del muscolo che risultano in movimenti meccanici non li conosciamo.
La biologia è un campo talmente esteso e irto di problemi che è impossibile, qui, citarli tutti: problemi su come funziona la vista (cosa fa esattamente la luce all’occhio), come funziona l’udito, ecc. (Il funzionamento del pensiero verrà discusso più tardi, nel paragrafo sulla psicologia). Ora, questi problemi non sono fondamentali dal punto di vista biologico, non stanno alla base della vita, nel senso che anche se li capissimo perfettamente, ancora non avremmo capito la vita stessa. Per intenderci: chi studia i nervi sente che il suo lavoro è importantissimo, perché tutti gli animali hanno nervi. Ma esiste sicuramente vita senza nervi. Le piante non hanno né nervi né muscoli, ma funzionano, sono vive lo stesso. Quindi bisogna guardare più in profondità per scorgere i problemi fondamentali della biologia; se lo facciamo, scopriamo che tutte le cose viventi hanno molte caratteristiche comuni. L’aspetto più comune è che sono fatte di cellule, ognuna con il suo complesso meccanismo di elaborazione chimica. Nelle cellule delle piante, per esempio, c’è un meccanismo per assorbire la luce e generare saccarosio, che viene poi consumato nel buio per mantenere la pianta in vita. Quando la pianta viene mangiata, il saccarosio stesso genera nell’animale una serie di reazioni chimiche strettamente legate alla fotosintesi (e al suo opposto nel buio) delle piante.
Ecco un’analogia: se vogliamo portare un masso da un posto a un altro, alla stessa altezza ma dall’altra parte della collina, lo possiamo spingere giù dalla cima, ma portarlo su richiederà una certa energia. Così la maggior parte delle reazioni chimiche non avvengono spontaneamente, perché c’è di mezzo la cosiddetta energia di attivazione. Per aggiungere un altro atomo alla nostra sostanza, bisogna portarlo così vicino da causare un qualche riordinamento, allora si attaccherà. Ma se non riusciamo a dargli energia sufficiente ad avvicinarlo abbastanza, allora non succederà niente: sarà come aver spinto il masso un po’ su per la collina: poi rotolerà giù. Tuttavia, se potessimo letteralmente prendere le molecole in mano e spingere e tirare gli atomi in modo da fare posto al nuovo atomo e farlo entrare, allora avremmo trovato un’altra strada, girando attorno alla collina, che non richiede energia in più, e la reazione avverrebbe con facilità. Ora, in effetti, nelle cellule ci sono molecole enormi, molto più grandi di quelle interessate ai cambiamenti appena descritti, che in qualche maniera complicata tengono le molecole piccole proprio nel modo giusto, così che le reazioni avvengono con facilità. Queste molecole enormi si chiamano enzimi. (All’inizio vennero chiamate fermenti, perché furono originariamente scoperte nella fermentazione dello zucchero, dove in effetti furono scoperte alcune delle prime reazioni del ciclo). In presenza di un enzima la reazione avverrà.
Gli enzimi sono fatti di altre sostanze chiamate proteine, e sono molto grandi e complicati, ognuno diverso dall’altro, essendo ciascuno destinato a controllare una particolare reazione. Nella figura 11 in ogni reazione c’è scritto l’enzima corrispondente (a volte lo stesso enzima controlla due reazioni diverse). Vogliamo sottolineare che gli enzimi stessi non sono coinvolti direttamente nella reazione: non cambiano, semplicemente fanno spostare gli atomi da un posto a un altro. Fatto questo, l’enzima è pronto a ripetere l’operazione su un’altra molecola, come una macchina in una catena di montaggio. Naturalmente bisogna ci siano certi atomi a disposizione, e ci vuole anche un modo di disfarsi di altri atomi. Prendiamo l’idrogeno: ci sono enzimi che contengono unità speciali che trasportano idrogeno per tutte le reazioni chimiche. Per esempio, ci sono tre o quattro enzimi che riducono l’idrogeno e sono usati ovunque nel nostro ciclo in punti diversi. È interessante come lo stesso meccanismo che libera dell’idrogeno in un punto
prenda l’idrogeno per usarlo da qualche altra parte. La caratteristica più importante del ciclo della figura 11 è la trasformazione da GDP a GTP (da difosfato di guanidina a trifosfato di guanidina) perché le due sostanze hanno energia molto diversa. Così come in certi enzimi c’è uno «scompartimento» per portare in giro atomi di idrogeno, così ci sono speciali «scompartimenti» che trasportano energia, e coinvolgono il gruppo trifosfato. Così GTP ha più energia di GDP, e se il ciclo si sta svolgendo in un verso si producono molecole che hanno un eccesso di energia e possono andare ad azionare qualche altro ciclo che magari richiede energia, tipo la contrazione di un muscolo. Il muscolo non potrà contrarsi senza GTP; possiamo prendere fibre muscolari, metterle in acqua, aggiungere GTP e le fibre si contraggono, trasformando GTP in GDP se gli enzimi giusti sono presenti. Quindi il sistema fondamentale consiste nella trasformazione da GDP in GTP; durante la notte il GTP che è stato immagazzinato di giorno viene usato per svolgere il ciclo in verso opposto. Un enzima, vedete, non si preoccupa del verso della reazione: se lo facesse violerebbe una delle leggi della fisica. La fisica è di grande importanza per la biologia e le altre scienze anche per un’altra ragione, che ha a che fare con le tecniche sperimentali. Infatti, se non fosse per il grande sviluppo della fisica sperimentale, questi diagrammi di biochimica non sarebbero noti oggigiorno. La ragione è che lo strumento più utile in assoluto per analizzare questo sistema così incredibilmente complicato è di dare un nome proprio agli atomi usati nelle reazioni. Per esempio, se potessimo introdurre nel ciclo un po’ di anidride carbonica dipinta di verde, e poi misurare tre secondi più tardi dov’è finita, cercando il colore, e poi guardare dieci secondi dopo, ecc., potremmo seguire passo per passo le reazioni. Che cos’è la vernice verde? Sono i diversi isotopi. Ricordiamo che le proprietà chimiche degli atomi sono determinate dal numero di elettroni, non dalla massa del nucleo. Ma ci possono essere, per esempio nel carbonio, sei o sette neutroni, insieme con i sei protoni caratteristici degli atomi di carbonio. Chimicamente, i due atomi C12 e C13 sono uguali, ma hanno pesi diversi e diverse proprietà nucleari, quindi si possono distinguere. Usando isotopi di peso diverso, o perfino isotopi radioattivi come il C14, che forniscono un mezzo anche più sensibile per rintracciare quantità molto piccole, è possibile seguire tutte le reazioni.
Ora torniamo alla descrizione degli enzimi e delle proteine. Non tutte le proteine sono enzimi, ma tutti gli enzimi sono proteine. Ci sono molte proteine, quali le proteine nei muscoli, le proteine strutturali che si trovano nella cartilagine, nei capelli, nella pelle, ecc., che non sono enzimi. Però le proteine sono una componente molto caratteristica della vita: prima di tutto tra esse troviamo tutti gli enzimi, e poi costituiscono quasi tutto il resto della materia vivente. Le proteine hanno una struttura interessante e semplice. Sono una serie, o catena, di diversi amminoacidi. Ci sono venti amminoacidi diversi, e si possono combinare tra loro a formare catene in cui la spina dorsale è CO-NH, ecc. Le proteine non sono altro che catene di vari amminoacidi, ognuno dei quali probabilmente serve a qualche scopo speciale. Alcuni, per esempio, hanno un atomo di zolfo in un certo posto: quando in una proteina ci sono due atomi di zolfo essi formano un legame, cioè legano la catena formando un anello. Un altro amminoacido ha un atomo di ossigeno in più che lo rende acido, un altro ancora è basico. Alcuni hanno grossi raggruppamenti che sporgono da una parte, e occupano un sacco di spazio. Uno degli amminoacidi, la prolina, non è veramente un amminoacido, ma un amminoacido. C’è una lieve differenza, e il risultato è che quando la prolina è presente in una catena, la catena si avvita. Se volessimo produrre una particolare proteina, la lista delle istruzioni sarebbe più o meno così: mettere qui uno di quegli anelli dello zolfo, aggiungere qualcosa che occupi spazio, poi attaccare una cosa che faccia avvitare la catena. In questo modo otterremmo una catena molto complicata, aggrovigliata su se stessa e con una struttura complessa; questo probabilmente è il modo in cui vengono costruiti gli enzimi. Uno dei grandi trionfi in tempi recenti (dal 1960) è stata la scoperta dell’esatta disposizione spaziale atomica di certe proteine fatte di cinquanta o sessanta amminoacidi in fila. Più di mille atomi (quasi duemila, se contiamo gli atomi di idrogeno) sono stati localizzati in una configurazione complessa in due proteine. La prima è l’emoglobina. È triste dover ammettere che dalla scoperta della configurazione non si capisce niente: né perché funziona né come. Naturalmente, questo è il prossimo problema da affrontare. Un altro problema è: come fanno gli enzimi a sapere cosa devono fare? Un moscerino con gli occhi rossi genera un piccolo moscerino con gli occhi rossi, e bisogna che il messaggio per l’intera configurazione di enzimi, di produrre pigmenti rossi, passi da un moscerino all’altro. Questo avviene tramite una sostanza nel nucleo della cellula, non una proteina, chiamata DNA (acido desossiribonucleico). Questa è la sostanza chiave che viene trasferita da una cellula all’altra (per esempio, le cellule degli spermatozoi sono fatte perlopiù di DNA) e trasporta l’informazione di come fare gli enzimi. Il DNA è la matrice. Che aspetto ha la matrice, e come funziona? Prima di tutto, bisogna che riesca a riprodursi. Secondo, deve essere in grado di dare istruzioni alla proteina. Riguardo alla riproduzione, potremmo ipotizzare che funzioni in modo simile alla riproduzione delle cellule, in cui una cellula, semplicemente, diventa più grande e poi si divide a metà. Sarà così anche con le molecole di DNA, allora? Diventano più grandi e poi si dividono a metà? Sicuramente ogni singolo atomo della molecola non cresce e non si divide in due parti! No, è impossibile riprodurre una molecola a meno di usare qualche metodo più ingegnoso. La struttura del DNA venne studiata a lungo, prima chimicamente per scoprirne la composizione, e poi con i raggi X per trovare la sua configurazione spaziale. Il risultato fu la seguente notevole scoperta: la molecola di DNA è costituita da una coppia di catene avvitate l’una intorno all’altra. La spina dorsale di ogni catena (analoga a una catena di proteine, ma chimicamente molto diversa) è una serie di zuccheri e gruppi di fosfati, come mostrato nella figura 12.
Ora vediamo in che modo la doppia elica potrebbe contenere istruzioni: se la tagliamo a metà per il lungo, separando le due catene, otteniamo una serie TAAGC… e ogni cosa vivente potrebbe avere una serie diversa. Quindi forse, in qualche modo, le istruzioni specifiche per la fabbricazione di proteine sono contenute nelle serie specifiche di DNA.
Attaccate a ogni zucchero lungo l’asse, per legare insieme le due catene, ci sono certe coppie di legami trasversali. Però non sono tutti dello stesso tipo: ce ne sono di quattro tipi, detti adenina, timina, citosina e guanina; le chiameremo A, T, C, G. L’interessante è che solo certe coppie possono formarsi, per esempio A con T e C con G. Queste coppie sono situate sulle due catene in modo da «incastrarsi», e hanno una forte energia di interazione. Ma C non si incastra con A né con T, si incastrano solo A con T e C con G. Quindi, se su una catena c’è una particolare lettera, sull’altra ci deve essere in corrispondenza la lettera complementare.
E allora, la riproduzione? Se tagliamo la catena in due, come facciamo a costruirne un’altra uguale? Se dentro la cellula c’è un reparto di fabbricazione che produce fosfato, zucchero e unità singole di A, T, C, G, le uniche a legarsi alla nostra catena divisa saranno quelle giuste, cioè i complementi di TAAGC…, vale a dire ATTCG… Quindi succede che la doppia catena viene divisa in due per il lungo durante la divisione della cellula: metà finisce in una cellula, metà nell’altra, e per ciascuna si forma una catena complementare.
Viene poi il problema: in che modo l’ordine delle unità A, T, C, G determina la sistemazione degli amminoacidi nella proteina? Questo è il problema aperto fondamentale nella biologia di oggi. I primi indizi, i primi elementi di conoscenza sono questi: nella cellula ci sono minuscole particelle chiamate microsomi, e si è scoperto che quello è il posto in cui si formano le proteine. Ma i microsomi non sono nel nucleo, dove si trova il DNA con le sue istruzioni. Sembra ci sia qualcosa che non va. Tuttavia, si sa anche che piccole parti di molecola escono dal DNA (non così grandi come la molecola di DNA che porta tutta l’informazione, ma come sue piccole porzioni). Queste parti si chiamano RNA, ma ora non importa. È come una copia di DNA, una copia ridotta. L’RNA, che in qualche modo porta un messaggio su quale proteina produrre, va da un microsomo: questo si sa. Quando arriva lì, la proteina viene sintetizzata nel microsomo (e anche questo si sa). Tuttavia, i particolari su come vengano scelti e sistemati gli amminoacidi in base al codice nell’RNA sono tuttora sconosciuti.
Non siamo capaci di leggere il codice. Anche se conoscessimo l’esatta sequenza ATCCA… non sapremmo quale proteina sarà prodotta. Sicuramente nessun campo di studio sta facendo più progressi della biologia al giorno d’oggi, su così tanti fronti, e se dovessimo scegliere l’ipotesi più importante di tutte, quella che più di ogni altra ci guida nel tentativo di capire la vita, sarebbe quella che tutte le cose sono fatte di atomi, e che tutto ciò che le cose viventi fanno si può comprendere in termini di movimenti e oscillazioni degli atomi.
Astronomia
In questa spiegazione lampo del mondo intero è ora il turno dell’astronomia. L’astronomia è più antica della fisica; in effetti dette l’avvio alla fisica, mostrando l’elegante semplicità del moto delle stelle e dei pianeti, la cui comprensione fu l’inizio della fisica. Ma la scoperta più notevole di tutta l’astronomia fu che le stelle sono fatte di atomi dello stesso tipo di quelli della Terra. Come ci si è arrivati?
Gli atomi liberano luce che ha frequenze definite, una cosa tipo il timbro degli strumenti musicali, che hanno altezze o frequenze sonore ben precise. Quando ascoltiamo note diverse riusciamo a riconoscerle, ma quando osserviamo con gli occhi una mescolanza di colori non riusciamo a discernere le varie parti, perché l’occhio non è nemmeno lontanamente sensibile quanto l’orecchio a questo scopo. Comunque, possiamo analizzare le frequenze delle onde luminose con uno spettroscopio e vedere le «note» emesse dagli atomi nelle diverse stelle. In realtà, due elementi chimici furono scoperti su una stella prima che sulla Terra: sono l’elio, scoperto la prima volta sul Sole (da cui il nome), e il tecnezio, su certe stelle fredde. Questo, ovviamente, ci permette grandi passi avanti nella comprensione delle stelle, perché sono fatte degli stessi atomi che troviamo sulla Terra. La nostra conoscenza degli atomi, specialmente in condizioni di alta temperatura e bassa densità, è ora tanto approfondita da permetterci di analizzare il comportamento della sostanza stellare usando la meccanica statistica. Anche se non possiamo riprodurre sulla Terra le stesse condizioni, spesso usando le leggi di base della fisica riusciamo a prevedere con precisione, o quasi, cosa accadrà. Così la fisica aiuta l’astronomia. Per strano che possa sembrare, la nostra comprensione della distribuzione della materia all’interno del Sole è molto migliore di quella all’interno della Terra. Quello che succede all’interno di una stella si conosce molto meglio di quanto si potrebbe supporre dalla difficoltà di dover osservare un puntino luminoso attraverso un telescopio, perché possiamo calcolare cosa dovrebbero fare gli atomi all’interno della stella in quasi tutte le circostanze.
Una delle scoperte più impressionanti fu perché le stelle continuano a bruciare, cioè l’origine dell’energia delle stelle. Uno degli scienziati che aveva contribuito alla fondamentale scoperta che dovevano avvenire reazioni nucleari nelle stelle per produrre l’energia necessaria era fuori con la sua ragazza una notte, e lei disse: «Guarda come brillano le stelle!», e lui rispose: «Sì, e in questo momento io sono il solo a sapere perché brillano». Lei gli rise in faccia, per nulla impressionata di essere accanto all’unico uomo al mondo che allora sapesse perché le stelle brillano. È triste essere soli, ma così va il mondo. È il «rogo» nucleare dell’idrogeno che dà energia al Sole: l’idrogeno si trasforma in elio. Inoltre, in ultima analisi, la produzione dei vari elementi chimici avviene all’interno delle stelle, a partire dall’idrogeno. La roba di cui siamo fatti noi fu «cucinata» molto tempo fa in una stella, e sparata fuori. Come facciamo a saperlo? C’è un indizio. La proporzione dei diversi isotopi (quanto C12, quanto C13, ecc.) non viene mai alterata da reazioni chimiche, perché le reazioni chimiche sono le stesse per tutti gli isotopi. Le proporzioni sono semplicemente il risultato di reazioni nucleari. Osservando le proporzioni degli isotopi nel freddo, spento tizzone che noi siamo, possiamo scoprire com’era fatta la fornace in cui si formò la materia di cui siamo composti. Quella fornace era come le stelle, e quindi è molto probabile che i nostri elementi siano stati «fatti» nelle stelle ed eruttati nelle esplosioni che chiamiamo nove e supernove. L’astronomia è così vicina alla fisica che avremo molto spesso a che fare con essa nel corso del nostro studio.
Geologia
Occupiamoci ora di quelle note come scienze della terra, o geologia. Prima di tutto la meteorologia e il tempo. Naturalmente gli strumenti della meteorologia sono strumenti fisici, e fu lo sviluppo della fisica sperimentale a renderli disponibili, come abbiamo spiegato prima. Tuttavia, la teoria della meteorologia non è mai stata elaborata in modo soddisfacente dai fisici. «Be’,» direte voi «non c’è altro che aria, e le equazioni del moto dell’aria sono note». Certo che le conosciamo. «Quindi, se conosciamo le condizioni atmosferiche oggi, perché non potremmo prevedere quelle di domani?». Prima di tutto, non conosciamo davvero le condizioni atmosferiche oggi, perché l’aria turbina vorticosamente ovunque. Risulta molto delicata, e anche instabile. Se avete mai visto l’acqua
atmosferiche oggi, perché l’aria turbina vorticosamente ovunque. Risulta molto delicata, e anche instabile. Se avete mai visto l’acqua scorrere giù da una diga, e trasformarsi in ammassi e gocce mentre cade, capirete cosa intendo con instabile. La condizione dell’acqua prima di arrivare sullo sfioratore è nota: è perfettamente liscia. Ma non appena inizia a cadere, dove comincia a separarsi, a spruzzare? Cosa determina quanto saranno grandi gli ammassi in cui si divide, e dove saranno? Questo non si sa, perché l’acqua è instabile. Anche una massa d’aria che si muove in modo uniforme, quando passa sopra una montagna inizia a turbinare e a formare vortici. In molti campi troviamo questa situazione di flusso turbolento che non siamo in grado di analizzare, oggi come oggi. Abbandoniamo quindi la meteorologia, e parliamo di geologia!
Il problema fondamentale della geologia è: che cosa è responsabile dell’aspetto odierno della Terra? I processi più ovvi sono davanti ai nostri occhi: l’erosione dei fiumi, dei venti, ecc. Questi sono abbastanza facili da capire, ma per ogni briciola erosa deve succedere qualcos’altro. In media le montagne oggi non sono più basse che in passato, quindi ci devono essere processi di formazione delle montagne. Se si studia geologia si scopre che in effetti questi processi di orogenesi esistono, così come esistono processi vulcanici, che nessuno capisce e che costituiscono metà della geologia. Il fenomeno dei vulcani in realtà non è affatto compreso. Cosa causi un terremoto in definitiva non si sa. Si sa che qualcosa sta spingendo qualcos’altro, poi a un certo punto scatta e scivolano uno sopra l’altro, d’accordo. Ma che cosa spinge, e perché? Secondo la teoria ci sono correnti all’interno della Terra, correnti circolanti dovute alla differenza di temperatura fra l’interno e l’esterno, che nel loro movimento spingono leggermente la superficie. Quindi, se ci sono due correnti opposte una vicina all’altra, nella regione in cui si incontrano la materia si ammucchierà a formare catene di montagne che si troveranno in condizioni di tensione e produrranno vulcani e terremoti.
E l’interno della Terra? Molto si sa sulla velocità delle onde di terremoto attraverso la Terra e la densità di distribuzione della Terra. Tuttavia, i fisici non sono stati capaci di elaborare una teoria soddisfacente su quanto dovrebbe essere densa una sostanza alle pressioni prevedibili al centro della Terra. In altre parole, non riusciamo a prevedere molto bene le proprietà della materia in queste circostanze. Ce la caviamo molto meglio con la materia nelle stelle che sulla Terra. La matematica relativa sembra un po’ troppo difficile, finora, ma forse non ci vorrà molto perché qualcuno si renda conto che è un problema importante, e lo risolva. L’altro aspetto, naturalmente, è che anche se conoscessimo la densità non riusciremmo comunque a calcolare le correnti circolanti. Né riusciamo veramente a capire le proprietà delle rocce in condizioni di alta pressione. Non riusciamo a dire con quale velocità le rocce «cedono»: bisogna dedurlo sperimentalmente.
Psicologia
Consideriamo ora la scienza della psicologia. Incidentalmente, vorrei dire che la psicoanalisi non è una scienza: è tutt’al più un processo medico, forse anche più simile alla stregoneria; ha una teoria su cosa causi la malattia («spiriti» di diverso tipo, ecc.). La teoria dello stregone è che la causa della malaria è uno spirito che proviene dall’aria; scuotere un serpente sopra la testa non aiuta, ma il chinino sì. Quindi, se siete ammalati, vi consiglierei comunque di andare dallo stregone, perché è la persona che, nella tribù, conosce meglio la malattia; d’altra parte la sua conoscenza non è scienza. La psicoanalisi non è mai stata verificata accuratamente con esperimenti, e non c’è modo di trovare una lista dei casi in cui ha funzionato, i casi in cui non ha funzionato, ecc. Le altre aree della psicologia, che riguardano cose tipo la fisiologia dei sensi (cosa succede nell’occhio e nel cervello) sono, se vogliamo, meno interessanti. Eppure ci sono stati progressi piccoli ma reali nello studio di questi problemi. Uno dei problemi tecnici più interessanti può essere chiamato psicologia, oppure no. Il problema centrale della mente, se vogliamo, o del sistema nervoso è: quando un animale impara qualcosa, riesce a fare una cosa diversa da prima, e quindi anche le cellule del suo cervello devono essere cambiate, se sono fatte di atomi. In che modo sono diverse? Non sappiamo cosa cercare, o dove guardare, quando si memorizza qualcosa. Non sappiamo cosa significa, o quale cambiamento avviene nel sistema nervoso, quando si impara qualcosa. A questa importante questione non è stata data alcuna soluzione. Comunque, ipotizzando che ci sia una certa cosa chiamata «memoria», il cervello è una tale massa di fili e nervi interconnessi che probabilmente non sì può analizzare in modo diretto. C’è un’analogia con le calcolatrici o i calcolatori, nel senso che anch’essi hanno molte linee, e una sorta di elemento analogo a una sinapsi, o connessione tra un nervo e l’altro. Questo è un argomento molto interessante che non abbiamo tempo di discutere oltre: la relazione tra il pensiero e i calcolatori. Bisogna rendersi conto, naturalmente, che questo argomento ci può dire ben poco sulla reale complessità del comportamento umano ordinario. Gli esseri umani sono così diversi tra loro. La via per arrivarci è ancora lunga, bisogna partire da molto più indietro. Se riuscissimo a capire anche solo come funziona un cane, sarebbe già un bel progresso. I cani sono più semplici da capire, ma nemmeno un cane si sa come funziona.
Perché è andata proprio costì
Perché la fisica possa essere utile alle altre scienze in modo teorico, oltre che per il suo contributo nell’invenzione degli strumenti, occorre che la scienza in questione fornisca al fisico una descrizione del suo oggetto di studio in un linguaggio che il fisico possa capire. Si può chiedere: «Perché la rana salta?» e il fisico non sa rispondere. Se gli dicono cos’è una rana, di quante molecole è fatta, che c’è un nervo lì, uno là, ecc., allora è diverso. Se ci dicono, più o meno, com’è la Terra, o come sono le stelle, allora possiamo fare previsioni. Affinché la teoria fisica sia di qualche utilità, dobbiamo sapere dove stanno gli atomi. Per capire la chimica, dobbiamo sapere esattamente quali atomi ci sono, altrimenti non possiamo analizzare niente. Questa è solo una delle limitazioni, naturalmente.
C’è un altro tipo di problema nelle scienze sorelle che non esiste in fisica; potremmo chiamarla, in mancanza di termini migliori, la «questione storica». Perché è andata proprio così? Quando avremo capito tutto in biologia, vorremo sapere come sono arrivate qui tutte le cose che vivono sulla Terra. Esiste la teoria dell’evoluzione, parte importante della biologia. In geologia, non solo vogliamo sapere come si formano le montagne, ma come si è formata la Terra all’inizio, l’origine del sistema solare, ecc. Questo, naturalmente, ci porta a voler sapere che tipo di materia c’era nel mondo. Come si sono evolute le stelle? Quali erano le condizioni iniziali? Questo è il problema storico dell’astronomia. Molto si sa sulla formazione delle stelle, la formazione degli elementi di cui siamo fatti, e perfino un po’ sull’origine dell’universo.
Ma in fisica non c’è alcuna questione storica. Non esistono problemi tipo: «Ecco le leggi della fisica, come mai sono proprio queste?». Non pensiamo, al momento, che le leggi della fisica siano in qualche modo variabili nel tempo, che possano essere state diverse nel passato. Naturalmente è possibile, e non appena scopriremo che è così, la questione storica in fisica verrà inserita nel resto della storia dell’universo, e allora i fisici si porranno gli stessi problemi degli astronomi, i geologi e i biologi.
Infine c’è un problema fisico comune a molti campi, molto antico e non ancora risolto. Non è il problema di trovare nuove particelle fondamentali, ma qualcosa lasciato in sospeso molto tempo fa, più di cento anni. Nessuno è mai riuscito ad analizzarlo matematicamente in modo soddisfacente, nonostante la sua importanza nelle scienze sorelle: è l’analisi dei fluidi circolanti, o fluidi turbolenti. Osservando l’evoluzione di una stella, si arriva a un punto in cui si capisce che sta per iniziare la convezione, e poi non si riesce più a prevedere niente. Qualche milione di anni più tardi la stella esplode, ma non si riesce a darne una ragione. Non riusciamo ad analizzare il tempo meteorologico. Non conosciamo i meccanismi dei moti che avvengono all’interno della Terra. La forma più semplice del problema è: si prende un tubo molto lungo e si pompa acqua dentro ad alta velocità. Ci chiediamo: per spingere una data quantità di acqua lungo il tubo, quanta pressione ci vuole? È impossibile stabilirlo a partire dai principi elementari e dalle proprietà dell’acqua. Se l’acqua scorre lentamente, oppure se si usa un liquido vischioso come il miele, allora si riesce a fare per benino, lo troverete su qualsiasi libro di testo. Quello che proprio non si riesce a fare è analizzare l’acqua vera, quella bagnata, che scorre in un tubo. Ecco il problema centrale che un giorno o l’altro dovremo riuscire a risolvere.
Una volta un poeta disse: «L’universo intero è in un bicchiere di vino». Probabilmente non sapremo mai in che senso lo disse, perché i poeti non scrivono per essere compresi. Ma è vero che se osserviamo un bicchiere di vino abbastanza attentamente vediamo l’intero universo. Ci sono le cose della fisica: il liquido turbolento e in evaporazione in funzione del vento e del tempo, il riflesso sul vetro del bicchiere, e la nostra immaginazione aggiunge gli atomi. Il vetro è un distillato di rocce della Terra, e nella sua composizione vediamo i segreti dell’età dell’universo, e l’evoluzione delle stelle. Ci sono i fermenti, gli enzimi, i substrati e i prodotti. Nel vino si trova la grande generalizzazione: tutta la vita è fermentazione. Non si può scoprire la chimica del vino senza scoprire, come fece Louis Pasteur, la causa di molte malattie. Com’è vivido il novello, che imprime la sua esistenza nella consapevolezza di chi lo osserva! Se le nostre fragili menti, per convenienza, dividono il bicchiere di vino, l’universo, in parti (fisica, biologia, geologia, astronomia, psicologia e così via) ricordiamo sempre che la natura non lo sa! Quindi rimettiamo tutto insieme, e non dimentichiamo qual è il suo scopo. Togliamoci un ultimo piacere: beviamo, e dimentichiamo!