Gizeh Records appare spesso sulle pagine di The New Noise ed è stato un piacere accogliere i dischi di Chantal Acda, Tomorrow We Sail e Ormonde. A questi se ne sono aggiunti altri, che si discostano almeno parzialmente da quelli sopra citati: è il caso dei lavori di Charles-Eric Charrier o di Shield Patterns, nuova creatura (tra le molte) dell’instancabile musicista e compositore Richard Knox. Potremmo poi aggiungere episodi ambiziosi come quello di Aidan Baker e “Freemartin Calf”, ma sarebbe davvero un discorso lungo. È proprio con il fondatore della coraggiosa etichetta nata a Leeds nel 2004 che siamo in procinto di scambiare alcune parole. L’occasione è di quelle da non lasciarsi sfuggire, tanto in virtù della qualità degli album recensiti, quanto per comprendere cosa possa spingere un musicista a voler realizzare non solo i propri sogni, bensì anche quelli di altri colleghi dediti alla sperimentazione in un ambito complesso come quello “pop”. Ne risulta una chiacchierata che attendavamo da tanto tempo, avendo girato per le nostre menti per diversi mesi prima di poter essere effettivamente realizzata. In fondo la musica è una porta che si apre sul mondo interiore di chi la compone, e come tale necessita di essere indagata con tatto e rispetto. Pur con un occhio di riguardo nei confronti degli aspetti più freddamente economici dell’arduo mestiere del label manager, saranno le parole stesse del nostro interlocutore a confermare quest’interpretazione…
Hai sempre sognato di gestire un’etichetta discografica oppure hai creato Gizeh per necessità?
Richard Knox: Questa è una buona prima domanda. A essere onesto, nessuna delle due cose. In un certo senso è soltanto accaduto. Il mio progetto, Glissando, aveva appena registrato il suo primo materiale e siccome in quel periodo avevamo fissato alcuni concerti, volevamo semplicemente pubblicarlo in qualche modo. A dire il vero Gizeh era il nome della prima mia band con Elly May (l’altra metà di Glissando), che non ha mai realizzato nulla, ma mi piaceva abbastanza da portarlo avanti in qualche modo. Da quel momento, credo, l’etichetta ha iniziato a crescere e ho finito col pubblicare un paio di cose di alcuni amici. Sto parlando deiprimi anni Duemila, quindi ora equivale a un sacco di tempo fa. Non ho pensato a quel periodo per un po’.
Come ti senti a pubblicare il tuo stesso materiale e allo stesso tempo aiutare altri a farlo?
In gran parte mi piace. Può essere allo stesso tempo davvero gratificante e stimolante. È gradevole essere in grado di procurare un po’ più di attenzione agli artisti rispetto a quanta ne potrebbero ricevere da soli e ci fa sentire come se fossimo una famiglia potente, dove tutti sono in qualche modo connessi. Presumibilmente ognuno riceve qualcosa da questa esperienza e siamo fortunati a poter realizzare dischi così validi. Apprezzo il fatto di avere il controllo sulle mie stesse pubblicazioni, artisticamente ma anche da un punto di vista finanziario. Mi aiuta a dormire di notte.
Tu e i “tuoi” artisti collaborate gli uni con gli altri in molti progetti di Gizeh e in un certo senso contribuite assieme all’estetica dell’etichetta. Che tipo di sensazioni ricerchi al di là della musica?
L’onestà, soprattutto. Per percepire una connessione con altre persone o con te stesso attraverso la musica. Siamo fortunati con Gizeh ad avere una manciata di artisti cui piace collaborare e che sono interessati l’uno nella musica dell’altro. Dà un senso di collettività e una ragione per tutti noi a portare avanti insieme questa giusta causa.
“The noise of harmony and the harmony of noise” sembra essere un “pay-off” appropriato per la tua etichetta, perché c’è qualcosa come una tensione tra armonia e rumore nelle tue pubblicazioni. Come è nata l’idea? O stai citando qualcun altro?
È una variazione di qualcosa che ho letto in un libro di Leonard Cohen. Sembra riassumere tutto per me. Questi due elementi esistono in pressoché tutte le nostre uscite e coesistono in un modo quasi naturale. Lascia anche pensare a tutto lo spazio che può esserci nel mezzo.
Crediamo, come si diceva, che la maggior parte dei dischi Gizeh condividano una medesima estetica: vorresti menzionare alcuni dei tuoi artwork preferiti (sappiamo che sarà difficile sceglierne solo una parte) oppure potresti dirci qual è il concept alla base di alcuni?
Per la maggior parte sono gli artisti ad essere responsabili della scelta degli artwork… in un modo o nell’altro paiono tutti girare attorno a un certo tipo di estetica. Se dovessi scegliere una copertina, sarebbe quella di Hoping For The Invisible To Ignite dei Farewell Poetry, che è davvero qualcosa. È come fuori dal tempo. Nonostante l’abbia vista un milione di volte, mi piace ancora osservarla.
Realizzi cd, cassette, lp… in che modo stabilisci in che formato pubblicare un certo disco?
Ha a che fare con il sedersi all’inizio di tutto il processo e cercare di immaginare quante copie pensiamo potremmo vendere e a chi, quale debba essere il limite di tiratura e quanto la band possa andare in tour, il tutto guardando alle pubblicazioni precedenti, al nostro conto in banca, al nostro carico di lavoro e alle necessità o ai desideri dell’artista. Dopo – a volte – prendiamo la giusta decisione!
Ti consideri un manager ambizioso? Te lo domandiamo avendo in mente il progetto multimediale The Freemartin Calf…
Sono ambizioso ma anche prudente. Come ho detto prima, c’è molto da tenere in considerazione per ogni uscita e ci sono delle responsabilità che vanno di pari passo. Dobbiamo essere certi che l’etichetta possa mantenere se stessa. Non godiamo di finanziamenti di alcun tipo e viviamo e moriamo in base alle nostre scelte. Se realizziamo un progetto enormemente ambizioso perché ci piace ma non vende, Gizeh muore… è semplice. Non siamo seduti su un nido di denaro. The Freemartin Calf è stata una decisione difficile perché è costato parecchi soldi e ne abbiamo stampate solamente 300 copie, quindi il meglio che potevamo fare era andare in pari. Ho amato il progetto e credo a Frédéric come a un amico stretto (Frédéric D. Oberland, chitarra degli Oiseaux-Tempête e uno dei musicisti coinvolti in The Freemartin Calf, col quale ha in piedi il duo The Rustle Of The Stars, ndr) . È un gran lavoratore e sapevo che avrebbe fatto tutto il possibile per fare funzionare tutto al meglio.
Anche Already Drowning di Aidan Baker sembra essere un progetto ambizioso, che coinvolge artiste importanti come Jessica Bailiff e Carla Bozulich. Hai collaborato in qualche modo alla realizzazione dell’album o più semplicemente Aidan ti ha soltanto chiesto di stamparlo?
Abbiamo fatto un tour di A-Sun Amissa insieme con Aidan nel 2012 e abbiamo viaggiato insieme. Durante i lunghi tragitti attraverso l’Europa abbiamo parlato di ogni elemento dell’industria musicale e di idee, dischi ed etichette… Mi ha raccontato di questo Already Drowning su cui stava lavorando da tempo e al quale si erano interessati in tanti, ma senza fare nulla. Così l’ho ascoltato e immediatamente adorato. È stata la cosa migliore di Aidan che abbia sentito e lo recepisci come un lavoro completo in ogni aspetto. Mi sono offerto di farlo io e, dopo alcune chiacchierate, così è stato.
Secondo te, in che modo la label è cresciuta durante questi dieci anni? Qualità, vendite, pubblicazioni…
È cresciuta molto. Abbiamo sempre avuto la qualità, ma adesso abbiamo le infrastrutture e l’esperienza per realizzare cose che prima non riuscivamo a fare. È sempre una questione di tempo e nel corso degli anni abbiamo continuato ad andare avanti quando sarebbe stato molto più facile fermarsi. Non è che ora noi siamo in qualche modo al sicuro, perché non è così, ma di certo siamo più stabili rispetto a prima. Con David (il mio socio) qualche giorno fa stavamo parlando del fatto che – se Gizeh fosse stata dieci anni fa com’è ora – saremmo stati oggi in una buonissima posizione e saremmo stati anche un’etichetta molto più grossa. Le cose sono cambiate molto negli ultimi cinque-sei anni e ci siamo persi un ampio periodo di tempo in cui la gente comprava dischi ma noi non avevamo in mano tutti gli ingredienti per un’etichetta di successo e per raccontarlo agli altri. Ogni tanto va così.
Sei alla ricerca di nuovi musicisti da mettere sotto contratto per Gizeh? Normalmente in che modo li trovi?
Normalmente sono loro a trovare noi. Per lo più le persone con cui lavoriamo sono connesse in qualche modo le une alle altre.
Quali sono i tuoi artisti preferiti al di fuori della tua etichetta? Ti hanno influenzato in qualche modo come musicista o come manager di Gizeh?
Risposta troppo difficile. C’è troppa musica che mi piace per essere in grado di selezionare. Ti direi che la maggior parte delle cose che “consumo” hanno un’influenza da qualche parte lungo il mio percorso. Cerco nuove ispirazioni ogni giorno per poter continuare a guardare avanti.
Guardando al tuo catalogo, sembra ci sia una certa poeticità sottostante ad alcuni titoli e copertine. Mi piacciono in particolare For Those Who Caught The Sun In Flight (Tomorrow We Sail) e The Prisons Of Language (Greenland). Ti piace leggere? Quali sono i tuoi poeti oi tuoi scrittori preferiti?
Amo leggere, ma non sono un granché nel farlo. Concludere un libro mi porta via un sacco di tempo e devo essere davvero nel mood giusto, perché sono talmente attivo che è dura per me staccare la mente e concentrarmi nella lettura. Ci sto lavorando, è qualcosa su cui devo applicarmi. Cerco di leggere un po’ tutti i giorni, specialmente prima di andare a letto. Attualmente sto leggendo il libro di Dean Wareham (dei Galaxie 500), che è splendido… Willy Vlautin è tra i miei preferiti (questo mi ricorda che devo prendere il suo nuovo libro).
Tutti siamo pazzi dell’album dei Shield Patterns Contour Lines. È un nuovo progetto per te. Che cosa ti ha convinto a iniziarlo? “Pop” è una brutta parola per te?
Grazie! Claire (l’altra metà di Shield Patterns) ha iniziato prima che la incontrassi. Originariamente eseguivo soltanto del materiale live insieme a lei, ma il tutto si è trasformato in qualcosa di più. Suppongo in un certo senso sia pop, ma è abbastanza intenso e a volte strano. Pop non è una brutta parola… c’è molta buona musica pop in giro… La cosa eccitante a proposito di questo progetto è il potenziale che ha. Claire è una compositrice così brava e prolifica che sembra che Shield Patterns possa davvero crescere. Le persone iniziano a interessarsi e possiamo facilmente andare in tour (questo non accade con altre mie band e fa una grossa differenza). È un buon momento per investirci delle energie. Presumibilmente verremo presto anche in Italia.
Grazie per il tuo tempo. Per favore, concludi l’intervista con delle parole che ti sono care.
“Nothing is a mistake. There’s no win and no fail, there’s only make.” (John Cage).
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