Nella difficile provincia di una città francese, a un bimbo spuntano due belle ali che gli permettono di svolazzare qua e là per la casa e per i dintorni. Possibile immaginare una fiaba più tenera e con una morale più lampante? Forse no. Ma è possibile che, quando il regista è François Ozon, la premessa vada a farsi friggere.
E così ecco questo strano film, "Ricky - Una storia d'amore e libertà", questa fiaba che ha ben poco di fiabesco: il realismo crudo, ma non spietato, non si scioglie neppure con l'irrompere del fantastico, la carne e il sangue (e le piume) non cedono mai il passo agli astrattismi dell'allegorico.
La storia dolcissima ha un costante retrogusto d'angoscia ed il sorriso che ti aspettavi fin dall'inizio arriva, ma non riesce a sciogliere una sensazione forte di destabilizzazione e quasi di malessere.
Innamorarsi a prima vista di questo film è difficile. Perché la storia del bimbo alato è fatta apposta per prometterti poesia, tenerezza, dolcezza, fiaba, calore. Tutte cose che vengono sfiorate, ma che fin dalle prime scene capisci che non ti verranno date: sono cose troppo lontane da quegli adulti smarriti (i bravissimi Alexandra Lamy e Sergi Lopez) e da quegli occhi adulti dell'eccezionale bambina Mélusine Mayance.
E innamorarsi a prima vista di questo film diventa difficile anche perché la morale semplice, docile e innocua dell'opera - quella fuga dalla realtà che già immaginavi prima di sederti sulla poltroncina della sala cinematografica - si dimostra tutt'altro che inoffensiva. E se ne vola via dietro Ricky, il bellissimo bimbo con le ali nato apposta per mostrarti che amore e libertà fanno sempre rima tra loro, ma che lo stesso non succede sempre con la felicità, neppure quando arriva un piccolo angelo.
Aggiungeteci poi quelle riflessioni dure sul rapporto tra la società e il diverso. Quell'attesa di qualcuno desideroso di fare del male al piccolo alato, di qualcuno che, però, non arriverà mai.
Perché il pericolo più grande e più vero per un angelo non è quello delle torture o degli esperimenti, ma è la quotidiana realtà di chi, non sapendo volare, ha costruito un mondo dove è normale non volare e dove volare diventa pericoloso.
E allora ecco le gabbie, le corde, la volontà di nascondere o di correggere...
Sì, il rischio più grande per il diverso non è quello dell'odio e della violenza, ma quello di una sottrazione, magari bonaria e "a fin di bene", della sua libertà.
fonte: http://noirpink.blogspot.com