Riunione di famiglia ©
Roberto parcheggiò nel vialetto sotto casa, strinse le mani sul volante, chiuse gli occhi e sospirò. Cercò dentro di sé la forza per scendere dall’auto e salire al 3° piano del vecchio palazzo in centro, ed entrare nell’appartamento che era stato testimone degli ultimi 45 anni della sua vita. C’era stato un tempo in cui contava i minuti che lo separavano dal rientro in casa, dal baciare sua moglie e i suoi figli, dal sedersi e mangiare tutti insieme. Ultimamente, invece, faceva sempre più fatica a ricordarsi quel periodo, del calore che sentiva nascergli nel petto al pensiero di “casa”. Quella sera in particolare la sua famiglia sarebbe stata eccezionalmente riunita come non lo era da anni. Lorenzo, il suo secondogenito, era rispuntato fuori dal nulla, tornato a casa dopo 10 anni di latitanza. Era scappato via senza dire molto ed era tornato nello stesso modo: non un messaggio di avviso, non una spiegazione.
Roberto era rientrato a casa una settimana prima e lo aveva trovato seduto sul divano, ricoperto dalle attenzioni di Gabriella, sua moglie.
«Hey, pa’! Sorpresa!» Gli aveva detto sorridente e beato. Sul viso del figlio non era affiorato un solo segno di preoccupazione, di tensione… di ansia. Sembrava lo stesso ragazzo che 10 anni prima si era fatto trovare con i bagagli già pronti, di fronte alla porta. Era partito senza badare alle conseguenze delle sue scelte ed era tornato intatto. Roberto lo avevo poi guardato senza espressione, aveva solo preso atto della sua presenza e si era rinchiuso nel suo studio. Da quel momento aveva fatto in modo di incrociare Lorenzo il meno possibile, ma una cena di famiglia era qualcosa che non poteva davvero evitare.Si schiarì la gola, fece un respiro profondo e si avviò verso casa. Inserì le chiavi nella toppa e le voci da dietro la porta gli accelerarono il battito cardiaco, pensò a sua moglie, alla luce che le si era riaccesa negli occhi da quando Lorenzo era ricomparso e si costrinse ad indossare un sorriso. Entrò in casa e prima che potesse accorgersene due figure minute e sghignazzanti gli si avvinghiarono addosso. «Nonnino!» esclamò Serena, la più piccola. «Mancavi solo tu!» le fece eco Alice. Roberto si chinò a baciarle entrambe. «C’era un po’ di traffico… ma ora sono qui! È quello l’importante, no?» Le bambine risero felici e trascinarono il nonno in salotto. «Aspettate! Fatemi togliere la giacca almeno!» le riprese inutilmente. «Eccoti!» disse Gabriella, avvicinandosi per sfilargli la giacca «Siediti… è quasi pronto!» Roberto annuì e salutò Carlotta, la sua primogenita, il marito Sergio e Lorenzo. Qualche istante più tardi, la moglie tornò con un vassoio di tortini morbidi al roquefort , con uvetta e gherigli di noce. Lo pose al centro della tavola e li invitò a servirsi. «Avanti, mangiateli ora che sono belli caldi!» «Non ci credo! I miei preferiti!» osservò contento, Lorenzo. Ne prese uno e lo addentò, gustando il contrasto tra il sapore forte del formaggio e quello dolciastro dell’uvetta, il tutto reso croccante dalle noci. «Beh… l’occasione lo richiedeva…» rispose amorevolmente Gabriella «Il mio bambino è tornato a casa…» Il ragazzo arrossì e si scostò dalla carezza che la madre gli stava facendo. «Ho 33 anni, mamma… non sono proprio un bambino!» «Per me sarai sempre il mio bambino!» lo riprese bonariamente la donna, sedendosi. «Tipica frase mammesca» scherzò Lorenzo. «Se posso dire la mia, anche per me sarai sempre un bambino» intervenne Carlotta. «Tipica frase da sorella inacidita!» replicò ghignante lui. «Tipica risposta da bambino» ribatté lei. «Oh, smettetela voi due… mangiate piuttosto!» tornò a riprenderli Gabriella. Roberto osservò tutto in silenzio, spettatore casuale di un bizzarro quadro familiare. Guardò sua moglie, rinata a nuova vita al solo pensiero di riavere suo figlio a casa. Guardò Carlotta, donna forte ed ambiziosa, tornata ragazzina insicura al confronto con il fratellino scapestrato. Guardò le sue nipotine, Serena ed Alice, ammaliate dal nuovo ospite , e guardò Sergio, una macchia sbiadita su una tela troppo colorata.
Non aveva mai capito perché la sua geniale Carlotta avesse scelto un uomo così ordinario: educato, pulito, silenzioso. Sin dal primo giorno in cui lo aveva portato a casa si era sempre chiesto cosa ci avesse visto una donna splendida e solare, in un uomo così normale e… grigio. Aveva anche chiesto a sua figlia perché lui, e lei si era limitata a rispondere: «Perché no!»
Lo osservava, ora, continuare a brillare di luce riflessa, a sorridere ed annuire al fianco di una donna che si era appassita accanto a lui. Lo guardava e si chiedeva come potesse continuare a succhiare via la vita dalla sua bella Carlotta. Sentì un moto di rabbia iniziare a ruggirgli nel petto, percepì il sangue ribollirgli nelle vene, provò l’insano desiderio di ribaltare il tavolo e mandare via tutti. Strinse le mani in due pugni e provò a concentrarsi su altro, vagò con lo sguardo nella stanza in cerca di un appiglio per cambiare pensieri ed emozioni quando incontrò il proprio riflesso, nel vecchio specchio ingiallito posto alle spalle di Sergio. «Che scherzo è questo?» Le parole gli sfuggirono di bocca prima ancora di realizzare di averle pensate. Ma le aveva pronunciate in un tono così basso che nessuno dei rumorosi commensali gli badò. Guardò l’anziano riflesso alle spalle dell’uomo che sentiva di disprezzare così tanto e non poté fare a meno di notare le spaventose somiglianze tra loro. Volse lo sguardo verso Gabriella, la osservò ridere ed illuminarsi contornata dalla propria famiglia e ripensò alla prima volta che l’aveva vista camminare per la strada.
Si muoveva leggera, fluida, sembrava scivolare sul terreno. Pensò che per una creatura così bella fosse la strada a muoversi per lei. Ogni giorno, alla stessa ora, Gabriella scorreva di fronte a lui, comunissimo studente di economia. Ogni giorno, alla stessa ora, Roberto si fiondava alla finestra della sua aula di studio e la guardava passare. Andò avanti per un mese e più, accontentandosi di guardarla e basta. Finalmente, spronato dagli amici, si decise a farsi avanti, preparandosi comunque ad un più che giustificato rifiuto. La aspettò in strada, seduto su una panchina, fingendo di leggere un libro. Appena la vide sentì il cuore salirgli in gola e pensò più volte di lasciar perdere man mano che si avvicinava, ma sua madre era solita ripetergli «La vera sconfitta sta nel non provarci nemmeno… che vada bene o che vada male, non conta poi molto!», così decise di fare un tentativo e non appena gli fu vicina, si alzò di scatto, bloccandole il passaggio. Si scusò e farfugliò frasi senza senso ed andò avanti a blaterare finché non si rese conto che lei gli stava sorridendo.
Ed aveva continuato a guardarlo sorridente per anni. La bella Gaby aveva scelto uno qualunque, una persona ordinaria… e lui… l’aveva appassita. Non era Sergio a fargli rabbia, ma ciò che in lui vedeva, ciò che lui rappresentava. Spostò lo sguardo su Lorenzo, ancora sorridente, tranquillo. “E lui perché mi fa rabbia?” pensò, serrando la mandibola. Una mano sottile e leggera gli toccò il braccio, strappandolo alle proprie elucubrazioni. Si voltò di scatto ed incrociò gli occhi scuri e di nuovo brillanti della moglie. «Non mangi?» chiese premurosa. Roberto si costrinse a sorriderle ed annuì. «Ma certo amore mio… ora mangio…» Sentendosi chiamare così, Gabriella arrossì. Era passato effettivamente del tempo dall’ultima volta che lui si era rivolto così a lei, ma Roberto non ci fece caso tanto gli era uscito naturale. «Allora, Lorenzo…» fu Sergio a parlare «Ora che sei tornato, che intenzioni hai?» gli domandò. Perso nei propri pensieri, Roberto si doveva essere perso un po’ di passaggi. Il ragazzo rispose: «Beh… forse Davide mi può dare un posto nel suo ristorante…» «Davide?» intervenne il padre. «Beh, sì… ne abbiamo parlato quando sono stato da lui…» «Quando sei stato da lui?» ripeté Roberto. «Sì… sai… quando sono tornato… sai… sono stato ospite da lui… sai…» «No, non lo so, Lorenzo. Non sapevo che te ne andavi, non sapevo che tornavi e non so che sei tornato qui e prima di venire a casa te ne sei andato da tuo cugino… non lo so» «Papà… non è grave…» provò ad intervenire Carlotta. «No, Carlotta. Non è grave… niente è grave. Non è grave che se ne sia andato all’improvviso. Non è grave che in 10 anni si sia fatto sentire 12 volte. Non è grave che sia morta sua nonna e lui non si sia degnato né di chiamare, né di mandare un telegramma, né niente… figuriamoci se è grave che abbia preferito starsene con Davide piuttosto che venire a salutare sua madre che stava morendo di malinconia…» «Roberto…» «No, Gaby!» la bloccò lui «Ero disposto a star zitto per amore tuo. Ero disposto a farmi stare bene tutto pur di vederti felice, così… ma sono stufo! Lo abbiamo trattato come un principe, gli abbiamo sempre accordato tutto… e questo è il risultato?» batté un pugno sul tavolo e si rivolse al figlio «Ti abbiamo fatto mancare qualcosa? Siamo stati così orribili?» Serena ed Alice si presero per mano accucciandosi contro la loro mamma, Sergio cinse le spalle a Carlotta e Gabriella deglutì a vuoto. Roberto fissava Lorenzo con rabbia ed il ragazzo sembrava essere impassibile, quasi fosse estraneo a quella situazione. «Siete i genitori migliori che si possano chiedere… il problema è che io sono il figlio peggiore che possa capitare…» fece un mezzo sorriso e si alzò dalla sedia «Mi è un po’ passato l’appetito… voi continuate pure…» abbassò lo sguardo sulla madre «I tortini sono pure più buoni di quanto ricordassi…» Così dicendo andò via.
3 SETTIMANE PRIMA...
«Mela! Stai ferma con la radio!» urlò Davide, schiaffeggiando con delicatezza la mano di Melania. «Hey! Volevo solo cambiare stazione radio! Lo sai che radiomalinconia mi dà l’angoscia!» «Non capisci niente di musica!» «Ti sbagli, mio caro… capisco che la musica deve farti stare bene… non farti venire voglia di essere schiacciato da un macigno!» Davide scosse la testa. «Sei assurda…» commentò. Si portò le mani alla bocca provò a riscaldarsele soffiandoci sopra. Melania notò l’ansia sul viso dell’amico. «Hey… tutto bene?» si preoccupò. «Non lo so… Lorenzo è sempre stato una mina vagante…» «Pensi che ti creerà problemi?» «Non so che pensare… so solo che c’è qualcosa che mi turba…» Ma prima che potesse finire la frase, due grandi fanali bianchi annunciarono l’arrivo dell’autobus sul quale viaggiava il cugino di Davide. «Aspetta qui… vado ad aiutarlo con i bagagli…» disse a Melania prima di scendere dall’auto. Si avvicinò a passo spedito al pullman cercando di individuare Lorenzo tra i passeggeri che scendevano dal mezzo. Gli parve di riconoscere i riccioli scuri che spuntavano da sotto il cappellino di un ragazzo e gli si avvicinò. Lo toccò sulla spalla e lo chiamò: «Lor?» Il giovane si voltò. «Sorry…» rispose un ragazzino brufoloso. Davide sorrise e tornò a cercare con lo sguardo tra gli altri passeggeri. «Guarda che sono passati 10 anni… devi cercare tra gli adulti…» La voce familiare di Lorenzo giunse alle sue spalle. Si voltò di scatto e quasi gli mancò il fiato quando vide chi aveva di fronte. Sotto molteplici lividi e graffi, si nascondeva il sorriso sornione di un ragazzo che sembrava aver fatto il passo più lungo della gamba. «Lo so, lo so… non sono cambiato di una virgola…» provò a scherzare il ragazzo. «Cosa… che… ma…» farfugliò Davide, in stato di shock. «Storia lunga, cugino… prima che te la racconti però… ti spiacerebbe pagare l’autista che gentilmente mi ha portato qui anche se non avevo nemmeno un soldo per il biglietto?» Vera ©