Proprio per questo l’Europa conservatrice della Merkel e i poteri finanziari che comandano a Bruxelles tenteranno qualsiasi cosa perché Syriza e Tsipras non ce la facciano: dal ricatto sulle borse, alla compra dei voti e dei candidati, allo scontro di piazza, servendosi magari dei neonazisti come in Ucraina: su questo non c’è da farsi illusioni. Ma visto che il tempo è scarso, manca meno di un mese all’appuntamento delle urne, visto che il degrado delle condizioni della Grecia è ormai tragico e la rabbia incontenibile, non è questo il maggior pericolo. Il vero rischio è che dopo un’eventuale vittoria di Syriza, le pressioni di ogni genere su Tsipras si facciano così forti da tramortire la spinta al cambiamento e trascinare il governo nelle sabbia mobili dove sono scomparsi i socialisti francesi o spagnoli e il centro sinistra sia italiano che tedesco.
Tsipras ha sempre detto di volere un’altra Europa e il mantenimento dell’euro, due cose la cui totale contraddizione appare sempre più chiara, essendo impossibile pensare a un programma sociale avanzato quando la leva monetaria è in mano ad altri. Dunque per salvare la Grecia dal disastro umanitario non potrà limitarsi a chiedere e contrattare con Bruxelles e Berlino un rinvio del pagamento del debito che servirebbe a ben poco sia nell’immediato, sia nel lungo termine, ma dovrà avere un piano per tornare totalmente o parzialmente a uno strumento monetario nazionale che sia esso una doppia circolazione o una moneta ufficiosa interna costituita da certificati di credito fiscale come suggerito anche per l’Italia da economisti e sociologi come Cattaneo, Sylos Labini, Gallino o altri sistemi ancora. Senza un’autonomia di spesa non c’è alcuna possibilità di restaurare uno stato sociale e tout court uno stato.
Ma una cosa deve essere chiara: se Tsipras dovesse fallire e accontentarsi di qualche briciola al banchetto dei ricchi Epuloni, se per paura o per mancanza di una chiara visione dovesse lasciarsi andare sulla china di Hollande, pur partendo da posizioni molto più radicali sarebbe la fine della sinistra su questo disgraziato continente e il via libera definitivo ai movimenti di destra come unici “difensori del popolo”. E’ una strada già percorsa in passato con i risultati che conosciamo. D’altro canto l’avventura di Syriza è anche una grande occasione per la sinistra europea: quella di trovare un senso proprio nell’appoggio e nella difesa di un eventuale governo Tsipras sia dalle pressioni dell’internazionalismo finanziario, sia dalle sue stesse incertezze: sarebbe un modo di far riemergere quella soggettività della sinistra, scomparsa da due decenni, spazzando via le posizioni di comodo e le piccole nicchie dirigenti incistate nel quieto vivere della critica astratta e ancora decise a illudersi gattopardescamente che siano i trattati a dover essere cambiati e non la moneta unica. Come se ci fosse una significativa differenza e come se questo fosse realmente possibile in un contesto istituzionale del tutto sottratto al giudizio dei cittadini, in gran parte solo scenografico, dove l’euro è la spada del capitale. Non è che senza la moneta unica tutto sarebbe risolto, troppo facile: ma è una delle condizioni necessarie anche se non sufficienti, per tornare a riveder le stelle.
Naturalmente questo non ha nulla a che vedere con l’esperienza fallimentare e fin da subito ambigua della lista Tsipras, ma è semplicemente la testimonianza dell’esistenza in vita di un punto di vista diverso e progressivo rispetto alle idee e agli strumenti del neo liberismo. Non è un obiettivo, ma un nuovo inizio. Se Tsipras potrà contare su un appoggio senza ipocrisie, distinguo e doppiezze nel resistere ai padroni del vapore, da Copenhagen a Malaga, probabilmente riuscirà a trovare l’audacia per fare tutto il contrario dei massacri proposti dalla troika e tentare di dare corpo al “programma di Salonicco”, mettendo al contempo le basi per la rinascita di nuovi assetti politici anche negli altri Paesi. Viceversa se gli mancherà un appoggio coordinato e corale, è quasi certo l’esperimento greco finirà per spiaggiarsi sulle secche: sulla contraddizione insanabile tra vincoli che ci si propone di alleggerire, ma che vengono comunque accettati e ritenuti perciò stesso giusti. Ecco in questo non c’è nessuna soggettività, c’è solo confusione.