C’è una bella definizione di Raymond Carver a proposito dell’arte. È contenuta nel libro “Niente trucchi da quattro soldi” (editore Minimum Fax)e lo scrittore statunitense afferma che si tratti di comunicazione, tra il fruitore e il creatore.
Può essere una buona definizione, ma a prima vista sembra essere troppo semplice. Anche la pubblicità è “comunicazione” e benché esistano spot considerati capolavori, immagino che forzare la mano e considerarli arte sia azzardato.
Poco dopo, Carver parla di “pugni”. Senza farla troppo lunga, secondo lui un racconto o un romanzo dovrebbero prendere a pugni l’emotività del lettore.
Qui secondo me si comprende che cosa sia la comunicazione. Se la pubblicità solletica e spesso asseconda i “gusti” (burini) delle persone; quella che si trova (a volte) nella letteratura è di ben altro tono. Occorre chiarire: prendere a pugni l’emotività del lettore per alcuni potrebbe significare sangue e violenza. Non funziona così.
Forse è necessario riscoprire il senso di certe espressioni, e dopo capire quale direzione sia necessario prendere. Le emozioni per anni sono state (e lo sono tutt’ora) cavalcate con allegria da tutti, e spesso con obiettivi ben distanti dall’arte. Alla fine, l’emotività è stata degradata al ruolo di ancella della peggior pubblicità, o politica, da tutti usata e abusata.
Da dove si ricomincia?
Dalle erbacce, come a volte scrivo. Nessuno ci bada, nessuno presta loro attenzione: cosa c’è di bello, di artistico, oppure capace di generare emozione, nelle erbacce? Niente, o almeno così si crede.
Le erbacce sono le persone. Ma non quelle che noi vorremmo imitare o essere. Mi riferisco ai falliti.
Lo riscrivo: i falliti.
C’è ancora qualcuno che legge, oppure siete scappati tutti?
Gia questa scelta, controcorrente, dovrebbe bastare a chiarire quale emotività si vuole prendere a cazzotti. Lo so che non è gradevole per il pubblico dei lettori. Già sono pochi, si dice, perché angustiarlo con storie di questo tenore? Qualcosa di allegro, anche solo un po’, non è proprio possibile?
Tutto è possibile a questo mondo, e infatti basta fare un giro in libreria per trovare tutto lo svago che si desidera.
Siccome il lettore non sa cosa vuole (il mio lato peggiore, proprio accanto a me, mi consigliava di scrivere: “Non capisce niente”, ma sono costretto a censurarlo, come si vede), chi scrive gode di una enorme libertà. Di un raggio di azione notevole.
Nessuno si occupa davvero delle erbacce, a parte certa letteratura. Ignazio Silone parlava di bifolchi, peones, i contadini della Marsica insomma. Gentaglia secondo l’opinione comune di allora, e adesso.
Ma è così che si deve scrivere, a parer mio. Prendere a pugni l’emotività del lettore probabilmente significa ricordargli la sua umanità. E questa è ben lontana dalle luci e dai lustrini di Las Vegas.