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Ricordati di santificare le feste

Creato il 15 luglio 2012 da Lucas

Ricordati di santificare le feste

Sono quello a destra, che si sfila la veste

Domenica: in molte chiese (in quasi tutte) si celebra la Santa Messa.Sino a un certo punto della mia vita, a partire perlomeno dalla prima Comunione, ho avuto un pungolo domenicale che mi diceva: «Vado o non vado alla messa?».La mia è stata una graduale (ma non so se consensuale) separazione dal sacro e, nella fattispecie, dal sacro cattolico (le radici cristiane del mio occidente, per capirsi), e per molti anni il pensiero di andare alla messa la domenica è stato per me un dilemma religioso.Ma perché, in fondo, andavo (o non andavo) alla messa? Pressione familiare? No, non credo: i miei non m'imponevano certo di andare, mio padre se ne fregava, mia madre è una non credentedichiarata, la zia (molto religiosa) me lo ricordava soprattutto nelle grandi occasioni da non perdere (Natale, Pasqua e altre importanti festività religiose). Dunque, per me, andare alla messa è stato fin da piccolo una decisione personale, anche perché o ci andavo da solo, o non ci andavo.Fino alla prima liceo andavo alla messa (non tutte le domeniche, claro) perché pensavo portasse bene e che Dio (o chi per lui) mi avrebbe ricompensato durante la settimana: in buona sostanza, offrivo il mio tempo alla rottura di palle della celebrazione religiosa per sperare di avere (o non avere) qualcosa in cambio. Ero un capzioso: lusingavo Dio, anche se cercavo di nasconderlo alla mia mente perché, mi dicevo, «cazzo Dio è onniveggente e mi legge anche nel pensiero, quindi devo nascondere le mie reali intenzioni pregando anche per il bene degli altri e la pace nel mondo, forse così, se mi faccio bellamente altruista, avrò dei vantaggi, soprattutto domani che ho l'interrogazione di latino», e se prendevo cinque la colpa la davo interamente a me che non ero stato abbastanza astuto da fregare il Signore, mica perché non avevo studiato.Dopo questa fase utilitaristica, ebbi anche una vera e propria fase mistica della messa, soprattutto grazie a un prete in gamba, molto alternativo, che ha scarnificato la celebrazione all'essenziale, in un ambiente – una pieve romanica meravigliosa – dove avvertivo di per sé un certo afflato con la bellezza e il sublime (e, siccome credevo, il trascendente). Collateralmente ai miei studi girardiani, mandavo a mente salmi in versione ceronettiana, passi di Giobbe e del Qohèlet, di Isaia e Geremia, Daniele ed Ezechiele. Provavo la dizione, insomma, ma dicendo ogni tanto tali passi scritturali, mi chiedevo, parallelamente, che diamine se ne facesse Dio delle mie, delle nostre preghiere, delle nostre lodi, genuflessioni, pentimenti e donazioni (beh, quest'ultime, più che altro, sono gradite agli intermediari del Signore).
E il Padre Nostro perdeva peso, l'Ave Maria scivolava via, l'Atto di dolore mi provocava solo stupore («mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati» ma peccati di che?) - sillabando tutte queste preghiere che un Dio vero, ce ne fosse uno, avrebbe fatto comporre a ben più capaci poeti. Poi, a un certo punto, la mia fede debole ha cominciato a perdere consistenza, a vacillare, sotto i colpi pressanti dell'idea pericolosa di Darwin e di un dialogo a distanza con altri umani inquieti come me. E così la pelle di serpente del mio cattolicesimo è caduta in terra – e per fortuna, l'epoca e le circostanze mi hanno consentito facilmente di sfilarmela di dosso, tale pelle, ché non so se, in altre circostanze od epoche (o anche, per esempio, in altro contesto religioso come l'islam) io sarei mai riuscito a trovarmi nudo di fede religiosa.Non credo più a nessuna possibile rappresentazione umana del trascendente ammesso e non concesso che un trascendente esista.L'universo è grande, purtroppo inutile.

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