La nostra educazione si basava per la maggior parte sui concetti di peccato, confessione, punizione, perdono e grazia, fattori concreti nelle relazioni dei bambini con i genitori e con dio. In ciò era insita una logica che noi accettavamo e credevamo di capire. Questo fatto contribuì forse alla nostra ingenua accettazione del nazismo. Non avevamo mai sentito parlare di libertà e ancor meno ne conoscevamo il sapore. In un sistema gerarchico tutte le porte sono chiuse.
Le punizioni erano dunque qualcosa di ovvio, mai messo in discussione. Potevano essere rapide e semplici come schiaffi o sculaccioni ma anche estremamente sofisticate, affinate nel corso di generazioni. [...] Dopo che i colpi erano stati inferti bisognava baciare la mano di papà, quindi veniva concesso il perdono, il fardello del peccato cadeva e la liberazione era accompagnata dalla misericordia. [...]
C’era poi una sorta di punizione estemporanea che poteva essere molto sgradevole per un bambino tormentato dalla paura del buio, cioè l’imprigionamento, più o meno lungo, in un particolare guardaroba. Alma, in cucina, aveva raccontato che proprio in quel guardaroba abitava un piccolo essere che mangiava le dita dei piedi ai bambini cattivi. Io udivo con chiarezza muoversi qualcosa là dentro nel buio, ero completamente terrorizzato. [...] Questa forma di castigo smise però di terrorizzarmi quando escogitai di nascondere in un angolo una lampada tascabile dalla luce rossa e verde. Se venivo rinchiuso tiravo fuori la lampada, dirigevo il fascio di luce contro la parete e m’immaginavo di essere al cinema.
Ingmar Bergman, Lanterna magica