Esattamente undici anni fa – oddio come passa il tempo! Mi sento vecchiaaa! –, ossia il 20 giugno del 2001, anche la sottoscritta affrontava la sua “maturità”. Che poi di maturo in me non ci fosse proprio niente, questa è un’altra storia.
Se ripenso alla Rossella di quegli anni, lo faccio con un misto di rimpianto e tenerezza (dicasi anche… pena!). Nonostante pensassi di essere piuttosto sgamata, in realtà ero di un’ingenuità terribile, potenzialmente distruttiva per me e anche per chi mi stava accanto… ero assoluta come solo i giovanissimi sanno essere, con l’unica differenza che io lo ero di più. Molto di più. Ero anche sensibilissima, lunatica, avventata, impulsiva, sconsiderata, ossessiva, passionale, mediamente folle. Un mix esplosivo. E poi ingenua.
E la cosa peggiore dell’ingenuità è che una persona non sa di essere ingenua, altrimenti per definizione non lo sarebbe. Lo capisce dopo. Di solito quando è troppo tardi. Non concepivo finzioni, bugie, ipocrisie. Non avevo paura di niente, non mollavo mai, non mi tiravo indietro. Si può dire che fossi un’anima nuda, senza difese. E mi apprestavo a “maturare”, appunto. Non so cosa credevo mi aspettasse dopo gli esami, di certo una vita nuova e una libertà sconsiderata. Con l’ottimismo completamente ingiustificato che mi ha sempre contraddistinta, mi preparavo a un avvenire meraviglioso, spudoratamente felice.
Degli esami non me ne fregava praticamente nulla. Della mia classe, ero l’unica che in quel periodo uscì ogni santa sera; unica eccezione: la sera prima dell’orale. Avevo troppo da ripetere! Ero la classica tipa che pur non studiando granché, prendeva voti altissimi. Merito della memoria di ferro e della mia parlantina. Tranne in matematica e fisica, ma si sa che al liceo classico non contano un tubo. Aspiravo al cento e lo volevo non tanto per me, quanto per i miei, che in questo senso non mi davano tregua.
Dovevo essere la migliore, sempre e comunque. Solo il massimo, solo la perfezione. A me, ripeto, non importava assolutamente nulla. Avevo l’unico diecidella classe in italiano, voto che la prof. mi aveva messo un po’ a malincuore. In italiano, infatti, agli esami avremmo avuto una professoressa esterna, e lei aveva paura che vedendo un voto così alto, la perfezione in pratica, pretendesse la luna. E in effetti pretese molto… ma questo lo racconto la prossima “puntata”!
Sta di fatto che italiano, assieme a storia e a filosofia, erano le materie che conoscevo alla perfezione. Per le altre contavo sulla fortuna, davvero non avevo tempo per studiare! C’erano i ragazzi, tanti, che mi gironzolavano attorno, c’era il fatto che avevo bisogno di stare sempre in giro, di ridere, di andare al mare, di confidarmi con le amiche fino a notte fonda e consumarmi le labbra di baci. Baci incantevoli e goffi, pieni di aspettativa per quel “qualcosa” che c’era dopo e che era affascinante e terribile come tutto ciò che è ignoto. A quei tempi la mia fantasia si limitava ai baci. Aspettavo qualcosa che nemmeno io sapevo cosa fosse. Sarebbe arrivato, quello lo sapevo per certo. Quando ripenso a quel periodo, mi viene in mente un’unica canzone…
Il giorno della prima prova mi svegliai felice, niente affatto preoccupata, anzi. Non era mai successo che a un compito d’italiano prendessi meno di otto, e mal che andava, sapevo di poter contare sulla mia scrittura.
Col programma c’eravamo fermati a Montale, tralasciando autori più recenti che andavano tanto di moda in quel periodo. Un paio di giorni prima, senza motivo, decisi che mi sarei studiata Pavese. Per conto mio. Non so perché proprio lui, qualcosa mi diceva che dovevo studiarmi Pavese. Giuro. Eppure io Pavese lo odiavo! Mah… Come sempre assecondai la mia follia.Il giorno degli esami faceva freddino. Al mattino presto, fuori dal portone del Liceo Ginnasio “R. Canudo”, la III C al completo tremava per il freddo e per la paura che nessuno avrebbe ammesso. Io invece ridevo e facevo battute, elettrizzata. Impazzava il toto-prove. Continuavo a ripetere il nome di Pavese, ma nessuno mi dava retta, nemmeno la mia migliore amica. E poi arrivarono i carabinieri con le buste. TERRORE GENERALE! Ci fecero entrare, ci sedemmo, il presidente lesse le prove… analisi del testo su un brano tratto da “La luna e i falò”, di Cesare Pavese! Ecco, e poi la gente si meravigliava che io seguissi tanto le mie sensazioni… Ieri, facendo qualche ricerchina per il web, ho trovato le prove di quell’anno.Puoi leggerle qui!Può sembrare assurdo, ma leggendole ho provato un brivido. Nostalgia, forse… o forse solo il potere dei ricordi, non so! Sta di fatto che svolsi la mia prova velocemente, senza esitazioni, e tornai a casa tutta contenta. I miei genitori mi aspettavano ansiosi, mamma per l’occasione mi aveva preparato tutti i miei piatti preferiti. Anche perché il giorno dopo – la temibilissima prova di greco!!! – non sarebbe stato altrettanto facile. Io in greco non andavo granché bene, e soprattutto alla prof. stavo sul …. Un’antipatia decisamente ricambiata, ma tant’è, il coltello dalla parte del manico ce l’aveva lei! In realtà non ero la cocca di nessun professore, io, perché ai professori piacciono i lecchini. Per l’esilarante racconto sulla versione di greco però dovrete aspettare domani, sempre che nel frattempo non vi abbia annoiati a morte con questa prima “puntata” :-)! E voi, che ricordi avete della prima prova dell’esame di maturità? Lasciate qualche commento se vi va!