Ricordi felini

Da Simonaruffini
Pioggia. Gocce che disegnano costellazioni sui vetri delle finestre. 
Il tempo dell'uomo si ferma per far parlare la natura che i suoi  odori e suoni. 

L'atmosfera è perfetta per indossare il mio pigiamino con le renne e farmi portare indietro nel tempo.

Guardo June che fa le fusa e si appallottola su di me alla ricerca della sua mamma...ed eccomi nel mondo dei ricordi. 
Era la vigilia di Natale. Ero ovviamente arrabbiata con il mio ragazzo, non mi ricordo per quale motivo, forse perché era arrivato in ritardo a prendermi in negozio dopo il lavoro. 
Avevo da ridire su tutto: sul tempo, sul freddo polare, sulla discutibile scelta delle candele che lui aveva acceso in macchina per creare l'effetto sorpresa..
Ero così presa dal mio borbottio che non mi ero accorta della presenza di qualcun altro dietro di me. 
"Chiudi la bocca e girati". 
Detto fatto.
Mi ritrovo a guardare due occhioni spalancati nel buio. Non riesco a capire di che cosa si tratti (conoscendo il mio ragazzo, sarebbe stato capace di regalarmi anche una pantegana). Apro la gabbietta, ma non esce nulla. Poi a poco a poco spunta un musino bagnato e i due occhioni che non hanno mai smesso di fissarmi guardinghi. 
Luna. La mia gattina nera, la mia bimba pelosa. 
Quell'incontro inaspettato ha segnato l'inizio di una relazione simbiotica. Dipendavamo l'una dall'altra. Lei era stata maltrattata e abbandonata, ma aveva lottato per vivere. Io, beh..io ero io. Non sono stata abbandonata, ma avevo un estremo bisogno di prendermi cura di una creatura indifesa. 
Sei mesi insieme. Non è mai riuscita ad accettare la presenza di altre persone se non la mia. Ad ogni minimo rumore fuggiva sotto il letto e dovevo immergermi a ripescarla. 
Aveva paura di tutto tranne che di me. 

Estate.
Luna si godeva il sole che filtrava dalle vetrate della mia camera. 
Era debole, non mangiava molto. 
Poi è venuta la febbre. 
Ha cominciato a perdere pelo. Pesava un chilo scarso. 
Passavo le giornate a studiare tenendomela sempre in braccio. Volevo proteggerla da quello che le stava facendo del male. 
Ma non ce l'ho fatta.
Sono arrivate le convulsioni di notte. Attacchi di epilessia al termine dei quali era stremata, in fin di vita. 
Poi il ricovero. 
"Non c'è niente da fare. Ha la FIV".
 L'AIDS dei gatti. Anche per loro non c'è una cura.
Così ho sperimentato che cosa volesse dire decidere di non far soffrire più un essere vivente.
Ho sperimentato che cosa volesse dire dare la morte, io che invece volevo darle solo la vita. 
Ora guardo June, penso al viaggio che faremo e penso che ci sarà anche Luna con noi. 


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