ricordi in un'estate

Da Kikka
Roma non si è svuotata, ma il traffico è così leggero in questi giorni, alle sette di mattina, che si ha il tempo di guardarsi a giro, di osservare, leggere i cartelloni, di star tranquilli. e passando ho visto il solito cartellone di ogni anno che pubblicizza il numero di prontononno.
e questa volta mi è venuto da pensare ai miei di nonni.

io ne ho avuti quattro come tutti, e li ho conosciuti tutti, anche se poi me li sono persi ad uno ad uno per strada.

due erano di Roma, e non credo fossero molto interessati a fare i nonni quando siamo nate io e mia sorella, mentre due erano di Brescia, e ci volevano un bene dell'anima.

il primo che mi sono persa è stato il mio nonno di Brescia, Giuseppe.
avrò avuto dodici, tredici anni, ma mi ricordo poco di lui, anche se quello che mi ricordo sono cose che mi si sono scolpite nella memoria.
era un uomo che mi sembrava alto, anche se mi dicono che in realtà non superasse il metro e settanta, robusto, forte, di un affetto duro, spigoloso, poco espansivo, anche negli ultimi anni della malattia. aveva un dito, l'indice della mano destra se non ricordo male, a cui si era rotti molti anni prima il tendine e che era piegato e rigido; quando ero bambina mi faceva giocare a cercare di rimetterlo dritto, tanto la forza che può impiegare una bambina è poca cosa. aveva un viso tondo, i baffetti alla Hitler, una voce rimbombante ed enormi mani. portava sempre un cappello di paglia, tipo borsalino, un po da contadino ma di città, ed amava la pesca. dopo che venne colpito dal tumore alla bocca, dopo l'operazione, era costretto a stare a casa parecchio, ed aveva imparato a fare le torte già pronte della Cammeo, quindi me lo ricordo spesso, in cucina, al tavolo, che con le fruste a manovella montava le chiare d'uovo, o sbatteva l'impasto, davanti alla televisione. era un uomo forte, resistente, e spero tanto di aver preso da lui la forza che lo portò avanti nonostante due infarti un tumore ed una polmonite.
era un buon nonno e mi mancò tanto quando morì anche se ero piccola e non ricordo molto bene.

la seconda che mi persi per strada è stata la nonna di Roma. so che è la mamma di mio papà e mi spiace ma non ho sentito per quella donna mai molto affetto: per lei provavo una sorta di antipatia carica di rancore, ma le portavo il rispetto dovuta ad una donna anziana ed alla madre di mio padre. quando ero piccola, sapevo che lei trattava male la mamma, forse perché non voleva che sposasse papà, o forse solo perché mia madre non è mai stata una leccaculo, di quelle tutte sorrisi e lingue biforcute che sono piene di salamelecchi per la suocera e poi ne dicono peste e corna. mia nonna Orietta era una donna odiosa, che non aveva mai una buona parola per nessuno di noi, ne mamma e ne ne mia sorella, che sapeva renderti un pomeriggio a casa sua pesante come un anno di carcere.di lei non ricordo praticamente nulla tranne che era sorda, ed i suoi apparecchi fischiavano di continuo, e che si truccava da schifo, anche quando era più giovane, come se usasse la pennellessa per stendere i colori.
non mi è mancata quando è morta. non ho mai saputo essere ipocrita, non ho mai creduto alla massima,s"ono parenti e quindi gli si deve voler bene a prescindere". penso che l'affetto si conquisti giorno per giorno, con le proprie azioni, con l'affetto che si da in cambio, con la vicinanza, e loro due, specie la nonna, non hanno mai fatto nulla per farsi voler bene: io non spreco così il mio amore, nemmeno per la madre di mio padre.

poi è stata la volta della mia nonna Elisa.
Nonna Lisì. lei è stata per me una seconda mamma, qualcuno che c'era sempre anche quando non era li. è morta giovane, aveva credo 65 anni, ma io me la ricordo da sempre come una dolce vecchietta. era bassa, io sono cresciuta presto e lei mi arrivava alla spalla con la testa, con i capelli grigio acciaio raccolti in una crocchia sulla nuca, prima e poi con i capelli corti. era tonda come una luna,con gambe sempre gonfie, e vestiva sempre delle vestagline a fiori di vari colori, ma sempre uguali, con le tasche che nascondevano sempre qualche caramella. caracollava in giro per la casa con le sue ciabattine basse che non facevano rumore per non disturbare i vicini del piano di sotto. era una donna dolce, dal carattere debole, bisognosa d'affetto e pronta a darne a valanghe. se sono grassa in parte forse lo devo proprio a lei, che diceva sempre "bella grassa si è detto sempre, bella magra non si è detto mai", e che per questa sue scelta morale mi cucinava qualunque delizia del palato io desiderassi. mi viziava, mi coccolava ed era addirittura soffocante, sempre e comunque, ma le volevo un bene dell'anima.
passavo le estati da lei spesso, e ricordo quei pomeriggi caldi a Brescia con lei che ogni tot si metteva sul terrazzino di casa e gridava nelle strade deserte il mio nome, con la sua voce acuta e rimbombante, fino a che io non comparivo da dietro qualche angolo e la rassicuravo che ero ancora viva. mi vergognavo da matti allora di questo guinzaglio vocale che ogni tanto tirava e per cui tutti i compagni di gioco mi deridevano, ma era il suo amore smisurato che le traboccava dal cuore e che non poteva in alcun modo contenere.
mi ricordo di tanti momenti con lei, io e lei da sole, perché tanto tempo abbiamo passato così, io e lei da sole. mi ha portato sul lago a mangiare la granita, quella fatta a pezzettoni grossi, mentre guardavamo i cigni, mi ha portato a spasso per la città, sulla Maddalena a mangiare il pollo fatto "sui Ronchi" come erano definiti quei luoghi. il suo era un amore esagerato, appiccicoso, e totale.
mi imbarazzava sentirla parlare di me come della sua piccina, sentirla chiedermi di sedermi sulle sue gambe quando già adulta oramai ero più pesante di lei, o quando mi chiamava urlando dal terrazzino mentre stavo andando in centro. però era la mia nonna, la mia seconda mamma, e le volevo un bene enorme.
è morta a Grosseto, stroncata da un tumore, o forse dal dolore di aver dovuto lasciare la sua casa di sempre per avvicinarsi a chi la poteva accudire, o forse solo stanca di sentirsi sola dopo la morte del nonno. non so. è morta vicino a me, in ospedale, di notte, ancora una volta sole, io e lei, ed il dolore di quella morte è vivo e straziante nella mia anima come allora.

l'ultimo ad andarsene è stato nonno Agostino, il nonno di Roma, un uomo che ho rispettato ed ammirato come architetto, rispettato come anziano, ma che si è tenuto sempre lontano dall'affetto di un nonno. credo a averlo anche odiato a volte, quando ero più giovane, perché i nipoti che vennero dopo, quelli dei fratelli di papà furono sicuramente amati rispetto a noi. ricordo ancora un episodio che come altri mi si è stampato nella memoria, e che mi ha spinto lontano come mai prima. andavamo a trovare uno degli zii , eravamo io e lui in macchina, e lui si fermò ad un'edicola a comprare un giochino per i nipoti, guardandomi mentre risaliva in macchina tutto sorridente, e dicendo, "è per i piccoli, gli porto sempre qualcosa sai?" io da lui, in tutta la mia vita ho ricevuto un daffy duck all'interno di un uovo di pasqua che gli avevano dato quando lavorò per una fabbrica di uova di pasqua, una perla spaiata di un paio di orecchini della nonna, un bracciale in eredità ed una fede d'oro che mi hanno rubato strappandomela dal collo. e questo è quanto. mai un regalo da bambina, mai un giocattolo, nulla.
ha vissuto per 95 anni, ha lavorato fino ai 90 quasi, poi si è preso un ictus e ha passato gli ultimi anni della sua vita con la testa sballata.
prima che andasse fuori di testa, mi ero trasferita già a Roma, e l'ho scorrazzato in giro per acquisti parecchie volte, perché me lo chiedeva lui, perché lo voleva mio padre o me lo chiedeva mia madre, ma per quell'uomo, concentrato solo sui suoi bisogni, non ho mai provato affetto, non ci sono mai riuscita, e di questo mi dolgo per mio padre, un uomo estremamente buono, che avrebbe meritato un padre migliore.
non ho provato dolore quando è morto, e ho provato rabbia a vedere gli altri nipoti tutti piangenti per un uomo che ha pensato più a se stesso che a chiunque altro, ma in fondo loro sono stati veramente nipoti.

non so se avete letto fino a qui, ma sappiate, senza offesa, che non ho scritto una sola parola per voi. ho scritto per me, perché a volte devo scrivere le cose per sentire che sono vere, per dargli concretezza per fissare un pensiero. e se avete letto, spero abbiate ancora i vostri nonni, e vi siano vicini, e voi li possiate sentire veramente nonni e magari quello che ho raccontato vi faccia ripensare a quello che voi provate per loro, perché fa sempre bene riguardare la propria vita ogni tanto e dargli una valutazione.

non sarò certo io a dirvi che dovete stargli vicini a prescindere, ma se gli volete bene, se sono le persone che vi hanno dato affetto, e coccole e gioia nella vostra infanzia, non lasciateli soli e diteglielo, perché il mio maggior rimpianto è stato proprio quello di no aver detto a coloro che amavo quanto fosse questo amore, prima che fosse tardi.

vorrei tanto che nonno Giuseppe e nonna Lisa fossero ancora con me, che potessero vedere quello che sono diventata, nel bene e nel male, che potessero essere orgogliosi della loro nipote, che ha un lavoro, una famiglia, una casa, tutto ciò che speravano per lei. ma loro non ci sono più da tanto, e chi era rimasto non aveva interesse per tutto questo.
spero sappiate godere di ciò che avete ancora. per voi.

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