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Ricordo di Ugo Riccarelli di B.O.Severini

Creato il 11 agosto 2013 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Ricordo di Ugo Riccarelli

Premio Strega 2004

Biagio Osvaldo Severini

Ugo Riccarelli nacque nel 1954 ed è morto oggi, 22 luglio 2013. Ha vinto il Premio Strega nel 2004. Il romanzo premiato si intitolava “Il dolore perfetto”(Mondadori, 2004).

Il dolore perfetto è il dolore circolare, avvolgente, profondo, totale che invade corpo e anima e coinvolge emotività, sentimenti, ragione, sensi. Questo dolore non lascia zone d’ombra o vie di fuga. Ti scuote in tutto l’essere. E’ questo il pensiero dell’autore.

Il linguaggio del romanzo è asciutto, essenziale, concreto, aderente alla psicologia dei personaggi, al loro lavoro, al luogo dove vivono, alle idee che hanno, alla vita che conducono.

Lo stile è a volte acuminato, a volte dolce, a volte gioioso, a volte pittorico, a volte spietato.

La narrazione inizia dalle vicende esistenziali del Maestro elementare che parte da un paesino vicino a Sapri ( Salerno) e arriva in un paese della Toscana, arroccato anch’esso sopra una collina.

Siamo nell’Italia del 1861, subito dopo l’Unità. Il Maestro vuole insegnare a leggere, scrivere e far di conto a quel 95% di persone che è ancora analfabeta.

Il Maestro è anarchico ed è seguace delle idee di Carlo Pisacane che proprio a Sapri (1857) vide fallire la sua missione e vide massacrare i suoi seguaci dalle truppe borboniche: “eran trecento, giovani e forti e sono morti”, dirà il poeta risorgimentale Luigi Mercantini nella nota lirica “La spigolatrice di Sapri”.

Successivamente si incontrano altri numerosi personaggi, collegati direttamente o indirettamente agli avvenimenti della storia italiana.

La repressione operata dal generale Bava Beccaris delle agitazioni milanesi del 1898 e l’uccisione a cannonate dei popolani che chiedevano “pane!”.

E ancora, l’epidemia della “spagnola” (1918 – 1919). Non si era quasi neppure finito di contare i morti del I conflitto mondiale, che la febbre spagnola fece morire migliaia di altre persone, portando con sé anche spavento e disperazione.

L’ascesa dei fascisti al potere, anche nei piccoli Comuni, dove “le camicie nere costrinsero al silenzio gli ultimi oppositori con gli argomenti del bastone, delle minacce e delle purghe”.

E oppositori erano i socialisti, i comunisti, gli anarchici, i cattolici democratici, tutti definiti dai fascisti “traditori, cospiratori, infidi, sfasciatori dell’Italia”.

La caduta del Duce il 25 luglio 1943 e l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno.

Ma soprattutto si sottolineano le atrocità dei fascisti della Repubblica Sociale di Salò (1943 – 1945) con la connessa viltà di quelli che “se ne stavano chiusi in casa a lasciar morire libertà e compassione che ormai nessuno più conosceva”.

Arriva la campagna di Russia della II guerra mondiale e la disfatta dell’esercito italiano durante la marcia della morte bianca nella steppa “impietosamente ghiacciata, sferzata da un vento polare e stretta nella morsa del gelo”.

I rari superstiti italiani sopravvissero grazie alla “umanità degli Ucraini che li accolsero in casa e li curarono”.

Può sembrare un arido libro di storia e di politica. E’, invece, un romanzo pieno di umanità che mette in evidenza le conseguenze derivanti alle persone dai grandi eventi, soprattutto conseguenze drammatiche, tragiche, dolorose, attraverso le quali passarono e passano le storie personali, le quali poi sono le uniche che contano, perché sono esse che fanno la storia con le loro sofferenze, con le loro gioie, con le loro nascite e morti, in un continuo avvicendarsi. E’ il dolore perfetto della vita, che si chiede in se stessa.

Una nota finale dello scrittore si sofferma su un episodio particolare: la visita a una macchina del moto perpetuo. Un aggeggio che individui strani, forse degli utopisti, costruiscono per dimostrare che si può arrivare al moto perpetuo, nel senso che una volta dato l’avvio ad una ruota, questa poi continua a muoversi autonomamente, senza bisogno di un motore, cioè senza consumare energie.

E’ capitato anche a me, durante la mia fanciullezza, di assistere ad un esperimento sul moto perpetuo derivante da una ruota costruita da un personaggio del paese, che quasi tutti consideravano “stranulato”, che viveva in un suo mondo fatto di utopie, ed era, forse, felice così.

Quella macchina del moto perpetuo fece percepire allo scrittore “per la prima volta il senso dell’utopia, la vidi fatta dai fili, dalle ruote e dagli snodi di quel marchingegno”. Io rimasi semplicemente sorpreso.

La macchina del moto perpetuo e’ la metafora del dolore perfetto e della felicità ricercata e trovata nell’utopia?

E’ una sintesi imperfetta di un grande romanzo e il ricordo immediato, ma sentito, di un autore dal respiro europeo, che merita di essere letto o riletto.


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