Fra i tanti, l’immagine di mio padre assume una importanza assoluta, non fosse altro per il fatto che la sua morte prematura ha sicuramente eliminato la possibilità di scrivere per intero, pagina su pagina, capitolo su capitolo, quanto di meglio ci si può aspettare da una continua crescita fatta di presenza, affidabilità, guida, ma soprattutto fatta anche di rimprovero, di critica, suggerimenti e contrasti. Raccontare di mio padre “ Michele Arcangelo” non è facile, a casa da anni non si parla più di lui. Tutti quanti lo teniamo stretto nel cuore. Non una parola, sono certo che tutti vorremmo farlo, ma c’è qualcosa che ci blocca. A distanza di quarantatre anni dalla sua morte, ne parliamo soltanto nel giorno della sua nascita e nel giorno della sua scomparsa. Il dolore per la sua morte è stato immenso ed io per parlare di lui, desidero cominciare proprio dal giorno della sua morte. E’ il giorno 19 aprile 1966, poco più delle otto del mattino, corro velocemente a chiamare il parroco della nostra parrocchia. Papà ormai è agonizzante, la lunga e gravissima malattia ha deciso che quel giorno era da segnare per noi tutti come il più brutto della nostra esistenza.Il pianto aveva ormai invaso ogni angolo della nostra casa, ma le parole che più rimbalzano nella mia mente, sono ancora oggi, quelle espresse in quel fatidico giorno dal dottore di famiglia.Ricordo continuamente che mentre lo visitava, disse: “ no, non vi preoccupate, non è morto, può durare ancora anche per due o tre ore ”.Come si fa a dire, non è morto, ma sta morendo? Cosa cambia?Io ricordo soprattutto il suo pianto nei mesi precedenti alla sua morte, quando sopraffatto dal male che lo stava distruggendo, si consumava giorno dopo giorno. Si vedeva che soffriva, non solo fisicamente, il suo sguardo, occhi chiari, ci fissava e si vedeva benissimo che si tormentava tanto per tutti noi. Incapace e cosciente di ciò che stava accadendo, si tormentava al pensiero di non poter più aiutarci, inerme e sofferente ci guardava e i suoi occhi si riempivano continuamente di lacrime.Non era più in grado di aiutarci.
Magazine Diario personale
Fra i tanti, l’immagine di mio padre assume una importanza assoluta, non fosse altro per il fatto che la sua morte prematura ha sicuramente eliminato la possibilità di scrivere per intero, pagina su pagina, capitolo su capitolo, quanto di meglio ci si può aspettare da una continua crescita fatta di presenza, affidabilità, guida, ma soprattutto fatta anche di rimprovero, di critica, suggerimenti e contrasti. Raccontare di mio padre “ Michele Arcangelo” non è facile, a casa da anni non si parla più di lui. Tutti quanti lo teniamo stretto nel cuore. Non una parola, sono certo che tutti vorremmo farlo, ma c’è qualcosa che ci blocca. A distanza di quarantatre anni dalla sua morte, ne parliamo soltanto nel giorno della sua nascita e nel giorno della sua scomparsa. Il dolore per la sua morte è stato immenso ed io per parlare di lui, desidero cominciare proprio dal giorno della sua morte. E’ il giorno 19 aprile 1966, poco più delle otto del mattino, corro velocemente a chiamare il parroco della nostra parrocchia. Papà ormai è agonizzante, la lunga e gravissima malattia ha deciso che quel giorno era da segnare per noi tutti come il più brutto della nostra esistenza.Il pianto aveva ormai invaso ogni angolo della nostra casa, ma le parole che più rimbalzano nella mia mente, sono ancora oggi, quelle espresse in quel fatidico giorno dal dottore di famiglia.Ricordo continuamente che mentre lo visitava, disse: “ no, non vi preoccupate, non è morto, può durare ancora anche per due o tre ore ”.Come si fa a dire, non è morto, ma sta morendo? Cosa cambia?Io ricordo soprattutto il suo pianto nei mesi precedenti alla sua morte, quando sopraffatto dal male che lo stava distruggendo, si consumava giorno dopo giorno. Si vedeva che soffriva, non solo fisicamente, il suo sguardo, occhi chiari, ci fissava e si vedeva benissimo che si tormentava tanto per tutti noi. Incapace e cosciente di ciò che stava accadendo, si tormentava al pensiero di non poter più aiutarci, inerme e sofferente ci guardava e i suoi occhi si riempivano continuamente di lacrime.Non era più in grado di aiutarci.
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