Scopo di questo articolo è di parlare di qualcosa in crisi (non l’economia!), qualcosa d’importante che rischia ogni giorno di essere posto in secondo piano, ma che rappresenta l’essenza stessa della vita: i rapporti umani.
Come per tutte le cose in crisi, ci si immola (o ci si dovrebbe immolare) per salvare il salvabile e così, con le mie minime conoscenze (da autodidatta) di psicologia dovute alla passione e alle mie letture, proveremo a fare il punto su questo argomento, di cui si parla pochissimo, contrariamente alla crisi economica (di cui se non se ne parla un giorno è un miracolo!).
Nel rapporto con gli altri si prende coscienza di sé ed è proprio questo a renderlo insopportabile. La frase di Michel Houellebecq – scrittore francese contemporaneo – racchiude in sé un certo pessimismo di leopardiana memoria. Ma non possiamo non constatare amaramente come i rapporti umani, con il passare degli anni, siano in crisi. Sarà per la ragione espressa chiaramente dal signor Houellebecq? Di certo si può affermare, senza paura di sbagliare, che la crisi dei rapporti umani è inversamente proporzionale alla diffusioni dei rapporti virtuali. A conferma di quanto detto ponetevi alcune domande:
– Quanto tempo passate sui social network e quanto con amici veri?
– Quando è stata l’ultima volta in cui avete chiesto a un/a amico/a “come stai?” guardandolo/a negli occhi? Quante volte, invece, in chat?
– Quante volte esprimete un vostro pensiero dal vivo e quante volte invece lo postate su Facebook o Twitter sotto forma di stato, canzone o link? Lo stesso dicasi per le dichiarazioni di apprezzamento o, per non essere arcaici, i “mi piace” che un tempo si chiamavano “complimenti”, parola che a breve si accomoderà in panchina come mero sinonimo.
Nei rapporti virtuali, non lasciando questi ultimi spazio alle emozioni, allo sguardo degli occhi o al dialogo (dal greco dià – lògos: attraverso un discorso) inteso come confronto verbale tra due soggetti, non si corre il rischio di prendere coscienza di sé. È, forse, anche per questo che sono, in gran parte, preferiti ai rapporti umani.
Tuttavia, social network a parte, una delle ragioni della crisi dei rapporti umani è la costante disapplicazione, violazione o ignoranza del principio di reciprocità intesa come un principio elementare della comunicazione umana. Infatti, ciò che trasforma un semplice messaggio in una interazione è la risposta generata dal destinatario, la quale determina a propria volta una reazione, un ulteriore messaggio, generando così una catena. L’insieme delle comunicazioni inviate e ricevute tra due o più persone genera esperienze emotive, aspettative, stili e regole di comportamento implicite che orientano momento per momento i soggetti e strutturano la relazione.
La reciprocità è data dall’alternanza con cui ciascuno riveste il ruolo di emittente e ricevente e, come in una partita a scacchi, è condizionata dall’attesa del proprio turno prima di fare la propria mossa. Quando la reciprocità è rispettata, in una sequenza di tipo io-tu-io-tu-ecc., la comunicazione fluisce e consente alle persone coinvolte di posizionarsi con chiarezza l’una rispetto all’altra e di decidere se e come portare avanti la relazione.
Purtroppo alla chiarezza con cui (mi auguro) ho esposto tale principio corrisponde una confusione enorme sullo stesso.
Essendo un principio elementare, iniziamo ad apprenderlo e a metterlo in pratica sin da bambini ma, come molte cose che impariamo da piccoli, tendiamo a dimenticarlo da adulti. E in assenza di tale principio, iniziano a formarsi crepe in rapporti d’amicizia, d’amore, di famiglia o di lavoro. Figli che comunicano tanto (talvolta, concedetemi il paradosso, con il silenzio) e genitori sordi che non rispondono, amici che non conoscono la reciprocità, relazioni in cui c’è chi invia segnali in attesa di una qualsiasi risposta e ne riceve una tantum.
Al contrario, se fossimo più spontanei, meno calcolatori, più aperti, meno orgogliosi, più semplici e schietti e meno complessi e razionali vivremmo meglio ogni tipo di rapporto.
Infatti, un concetto semplice e basilare come il principio di reciprocità favorisce la costruzione di rapporti leggibili, permette di delineare confini condivisi e, anche nel conflitto, agevola la ricerca di soluzioni. Per questo è facile osservare che in una coppia, in una famiglia o in un gruppo che funzionano, la reciprocità viene spontaneamente e abitualmente assecondata dai comunicanti o velocemente ripristinata nelle situazioni critiche. Viceversa, quando il principio di reciprocità viene apertamente e ripetutamente violato, quasi sempre senza che i comunicanti ne abbiano consapevolezza, la relazione diventa frustrante e difficile. Schemi d’interazione rigidamente asimmetrici, del resto, portano a dipendenza affettiva, depressione, ansia.
Il conflitto interpersonale è l’esempio più chiaro della dinamica e degli effetti del principio di reciprocità. Le persone tendono a sovrapporre i propri interventi senza ascoltarsi, oppure tacciono rifiutando la comunicazione e abdicando dal proprio turno di parola. Si alimenta così un disastroso squilibrio comunicativo, che mantiene il problema e impedisce a entrambe le parti di definirsi liberamente l’una rispetto all’altra all’interno di un dialogo che, piacevole o doloroso, sia almeno comprensibile.
Del resto si narra che Confucio alla domanda di un suo allievo “Esiste una parola che possa esser la norma di tutta una vita?” rispose: “Questa parola è reciprocità. E cioè non comportarti con gli altri come non vuoi che gli altri si comportino con te”.
Di Giulio Massimo Giglio