Magazine Cinema

RIFF, decima edizione: “Tre”, “Ricordati di fare miao”, “Overbooking”, “Under the spotlight”

Creato il 22 marzo 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

196566_10150100458486198_136673186197_6788120_5693588_n

(Tre di Lucilla Colonna)

Tre di Lucilla Colonna

Roma. Tre diversissime coppie si presentano al Tribunale dei Minori per ottenere un bambino in affidamento: egocentrico riccone con sconsolata moglie-accessorio, pittoresco duo di “coatti” romani e coppia umile ma con i piedi per terra. Sei mesi dopo, si ritrovano tutti lì.

Il cortometraggio d’esordio di Lucilla Colonna è una commedia grottesca con caratterizzazione archetipica dei personaggi: lo yuppie cocainomane e presuntuoso (che ci ricorda un giovane Silvio…), la moglie sola nel suo futile benessere, la coatta che vuole un bambino come accessorio di lusso (“Come Brad e Angelina”) e il partner trascinato da lei nonostante ragionevoli dubbi, la coppia “normale” che si pone problemi reali come il sostentamento economico.

Un corto snello e scorrevole che non presenta eccessive ambizioni di introspezione, ma punta molto sulla comicità degli inevitabili incontri-scontri fra personaggi agli antipodi. Difetti: su alcune caratterizzazioni si insiste troppo anche se fa parte del gioco, mentre nella scelta delle inquadrature la regia appare un po’ troppo televisiva. Svolgimento (e finale) abbastanza scontato, ma, in ultima analisi, un prodotto gradevole che prova a dire qualcosa viaggiando sui binari dell’intrattenimento.

Ricordati Di Fare Miao di Luca Calvanelli

Un uomo di mezza età (Danilo Nigrelli), palesemente nevrotico e compulsivo, aspetta il suo turno nella stanza d’attesa della sua psicologa. In questo breve lasso di tempo, le sue ansie trasformano ogni minimo particolare dell’ambiente in qualcosa di sinistro: strane voci, ombre, rumori, fino ad arrivare ad un’inspiegabile macchia rossa sul soffitto. Arriva la figlia della psicologa, che  propone alla madre, con la semplicità dell’innocenza, di scambiare il posto dell’austero divano della sala d’aspetto con quello della sua sedia verde-pistacchio. Ricordati Di Fare Miao è un corto sulle sovrastrutture che la società moderna impone agli adulti loro malgrado, riempiendo la vita con astrazioni invisibili agli occhi di un bambino. La morale è chiara, forse fin troppo, ed è questo il maggior limite dell’opera: non andare mai oltre l’unico messaggio di fondo. Così, nonostante protagonisti azzeccati, discrete gag, buoni raccordi, sceneggiatura curata e bella fotografia, il corto cade nel troppo lineare e nell’eccessivamente didascalico. Peccato, perché, corredato da un paio di temi secondari, poteva diventar qualcosa di più.

Overbooking di Michele Mortara

All’interno di un aeroporto, nella zona check-in, i passeggeri compongono la classica coda per completare le procedure d’imbarco. Ma succede qualcosa di insolito, di mai accaduto prima: un passeggero (Alessandro Demcenko) è in overbooking. La cosa non lo turba particolarmente, anzi sembra alquanto indifferente al problema di restare a terra; non è così per il direttore dell’aeroporto (Ivano Marescotti), abbastanza contrariato da una situazione “mai successa prima”. In realtà, il protagonista è appena morto e giace sul letto di un ospedale, e il viaggio che si accinge ad intraprendere è quello nell’aldilà.

Michele Mortara vince la tentazione di svelare troppo presto l’inganno e anzi non lascia troppi indizi – se non nella recitazione di Demcenko, perfettamente spaesato ed indifferente – mascherati dall’interpretazione sopra le righe di Ivano Marescotti, che ruba la scena e distoglie dal cercare subito la soluzione dell’enigma. Questa vaghezza di fondo si riflette (forse eccessivamente) anche negli intenti del corto, alle prese con un tema impegnativo (che poi è la questione centrale) come l’eutanasia. Formalmente ineccepibile per cura della fotografia e direzione degli attori, il cortometraggio ha il suo più grane difetto non tanto nel non prendere posizione, che può essere una scelta legittima, quanto nel non andare a fondo nella tematica prefissata. Ottime atmosfere, che però restano tali, senza trasformarsi in riflessione.

Under The Spotlight di Duygu Etikan

La ballerina e coreografa Duygu Etikan gira un documentario, ricalcando la forma di American Dream, in scia con uno dei filoni commerciali più in voga negli ultimi anni, quello che parte da Fame e passa per Step up, Save The Last Dance, etc etc. I mezzi e le conoscenze li avrebbe anche (Beyoncè, Rihanna, Alicia Keys…), ma il risultato è eccessivamente piatto. La Etikan si limita a fare sempre la stessa domanda ad un numero imprecisato di ballerini o aspiranti tali, tanto da farci venire un ragionevole dubbio: è un documentario con aspirazioni di cinema o una tesi di ricerca in psicologia? Perché l’unico dato certo che emerge è che l’omologazione culturale non ha risparmiato neanche gli aspiranti ballerini, molto più interessati al ballo come eventuale trampolino per il successo che come forma d’arte che dia la possibilità di esprimersi con il proprio corpo. Successo, successo, successo, reiterazione che si sublima nella forma ripetitiva di un’opera che non riesce ad avere un minimo di originalità formale, oltre che nel contenuto.

Forse andrebbe fatto un documentario su questo documentario, sulle sue dinamiche di ideazione e su quello che voleva dire la regista, perché forse ci permetterebbe di capire gli intenti e soprattutto la sua convinzione di aver trasposto sullo schermo un’idea originale.

Angelo Mozzetta


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :