Anno: 2011
Durata: 83′
Genere: Drammatico
Nazionalità: UK
Regia: Jhon Mucllduff
Deliziosa scoperta: Jhon Mucllduff, irlandese di Belfast, e la sua opera prima Behold the lamb (2011) si candidano ad alta evidenza nella sezione del concorso internazionale. Ecco emergere un autore, uno stile, un linguaggio. L’incipit è già bella lezione di cinema: camera fissa, interno di un’auto circondata dal gelo e dal silenzio. È giorno, una ragazza (Liz) si stiracchia in modo compresso e dialoga con un braccio che dal lato posteriore le chiede di dar da mangiare ad un cane. Battute secche, non accondiscendenti: i due hanno confidenza nel sapersi trattare. Controvoglia, la giovane afferra il barattolo di cibo per cani che il braccio le porge, ed esce. La giornata è tersa ma fredda. La ragazza abbassa lo sguardo, rimane per un istante interdetta, si china, prende in braccio il cane morto congelato e lo getta senza indugio nella pozza d’acqua accanto.
Riso ed ‘orrore’, un po’ di vita, la sua bellezza, ebbrezza, non senso, dolore e ‘follia’. Questo è Behold the lamb: un road movie dell’assurdo ma non troppo, costellato da personaggi umanissimi nelle rispettive debolezze, speranze, affetti e paure. Dominato da un occhio fotografico sospeso nei tagli di luce e colori di un mondo più reale che mai nel dinamismo e nella stasi surreale impressi. A partire dal freddo-gelo invernale che ricopre e permea tutte le cose. Il giovane braccio cede il posto quasi subito a suo padre (Eddie), e Liz si ritrova suo malgrado compressa-costretta ad una coabitazione mobile dettata da rispettive necessità: per la giovane, rivedere suo figlio in affidamento; per Eddie, chiudere un affare vitale per la sopravvivenza (anche) del braccio-figlio. E il viaggio ha inizio. Dentro un’alleanza che non si ‘definitivizzerà’ mai nei ‘simbolismi’ degli episodi a cui assistiamo, e in una natura animale che sposta e ferma l’attenzione su una bellezza catturata in un taccuino della memoria della rara meraviglia (condizione-modello del quotidiano scorrere umano dei giorni), galleggiamo sorpresi, divertiti e sempre altamente cullati nell’autentico da un regista che non si prende gioco di noi, non accondiscendendo nemmeno per un momento a un ‘lieto fine’, che semplicemente nella vita non esiste. Esiste ‘il mezzo’, e Mucllduff lo identifica anche nell’agnellino trattato ‘senza pietà’, nel sacrificio cui è destinato sin dalla nascita.
Liz ed Eddie impareranno a conoscersi, e noi sapremo meglio comprendere il sottile confine che separa il non detto dall’esternato, che connota le svariate sfaccettature di una personalità, cogliendo il dolore dell’abbandono e dell’accettazione dei propri limiti, la tensione verso l’amore, il senso di solitudine e di impotenza che ciascun essere umano si porta dentro. Aoife Duffin è una superba Liz, trattenendo ed ‘implodendo’ un personaggio non semplice da gestire e da rendere nella sua essenza. La macchina da presa è, al pari della scrittura, schietta, sensibile e acuta nel catturare le istantanee di senso e paradosso con un occhio attento a prospettive e primi piani, negli affondi di sguardo in dense scoperte percettive.
Benvenuto a Jhon Mucllduff nei nuovi autori di cinema.
Maria Cera
Scritto da Maria Cera il apr 20 2012. Registrato sotto FESTIVAL, RECENSIONI FILM VISTI AI FESTIVAL. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione