Proprio perché stiamo attraversando un periodo storico molto difficile, e come Europa, e come Italia, e come mondo,urge più che mai rivitalizzare la Cooperazione.
Intendo cioè il riproporre, con taglio adeguato ai nuovi tempi, la nota Cooperazione allo sviluppo che, alla fine degli anni '60, avviò una dinamica d'incontri e di sostegno reciproco tra realtà e Paesi differenti da un capo all'altro del pianeta.
E arricchì di valori sopratutto il cosiddetto "primo" mondo.
So che esistono i detrattori della Cooperazione, come so bene che non sempre tutto è andato liscio come l'olio negli interventi.
E che, spesso, non pochi progetti messi in piedi si sono rivelati fallimentari oltre che , molto spesso, uno spreco di denaro insensato.
Cerchiamo comunque di non guardare sempre tutto con gli occhiali neri.
Il nero non ci piace. E' di appartenenza di coloro che sono portatori di morte.
Oggi alle motivazioni forti di un tempo, per cui si tentava il cambiamento in meglio e ci si spendeva in prima persona, senza timori o risparmio di forze, si è sostituito via via un letargo d'interessi.
Un'abulia mastodontica. Complice, talora, persino il mondo degli adulti troppo distratto. Per cui, specie i giovani, appaiono fortemente demotivati.
Se l'obiezione è che i bilanci dei Paesi ricchi,che dovrebbero aiutare quelli meno fortunati attualmente sono in rosso,è possibile sempre rispondere che "piccolo è bello". E che si può fare.
Ma bisogna crederci. Bisogna essere disponibili a farsi dono per gli altri. E non certo per "buonismo" mieloso.
Semmai con convinzione, soltanto perché è giusto farlo.E perché, complice una crisi economica generalizzata, siamo davvero un po' tutti sulla stessa barca.
Per impedire, sopratutto, che certe ideologismi velenosi, che si tingono persino di connotazioni pseudo-religiose, approfittando di una povertà culturale permanente anche nelle nostre città europee (ricordo anche i giovani pakistani a Londra) distruggano le vite di tanta gioventù come è accaduto nei fattacci di queste ultime ore a Parigi.
Per impedire il peggio. Per favorire una convivenza armonica il più possibile allargata.
Quella di chi impara a conoscere l'altro e la sua cultura e la rispetta.
Quando c'è volontà e impegno serio, poi anche i mezzi economici saltano fuori.
E, per gradi, si costruisce quell'integrazione politica e culturale (quindi anche religiosa) auspicabile, che non è più un'utopia.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)