Riflessione sulla conferenza delle donne del PD.

Creato il 24 gennaio 2011 da Cristiana

Detesto i ghetti, da sempre.

E’ una storia molto lunga che risale al mio coming out e al mio primo ingresso (di curiosità) in un’associazione omosessuale (questa la sanno in pochissimi, in ogni caso avevo 20 anni) a cui seguì un’uscita ancora più rapida (il giorno stesso) e la scelta di vivere la mia diversità nel mondo che il destino mi aveva assegnato e non in un mondo finto e ricostruito ad arte dove potessi fare la doppia vita (adesso ho un’opinione molto diversa dell’associazionismo, ma allora fuggii a gambe levate)

Alla fine il mio mondo me lo sono cambiato intorno con l’amore e caparbietà ed oggi lo considero bellissimo. E non da sola, che da soli non si va da nessuna parte.

Venerdì sera ho partecipato alla prima parte della costituzione della conferenza delle donne PD Roma.

Due rapide osservazioni: la quasi totale assenza di maschi (posso elencarne tre se volete), il mio segretario adorato che parla e poi se ne va e la costituzione di due commissioni tutte fatte da donne, sul cui voto mi sono astenuta (da sola). Sull’assenza dei maschi la colpa la dò al 50%. A chi non ha fatto fuoco e fiamme per avere gli eletti romani presenti. E ai maschietti che ovviamente si sono ben guardati dal venire in questo covo di streghe.

Ho parlato quando la sala era quasi vuota e ho aperto con una battuta, ho detto: mi sembra di stare al congresso di arcilesbica, viola compreso. Ovviamente per me non era affatto una battuta cattiva, ma era una riflessione ironica anche in risposta ad un certo intervento autorevole che poi leggerete.

Ho continuato dicendo che mentre le donne del partito si stanno tirando i capelli per decidere la portavoce (di cosa? visto che non tutte le donne sono d’accordo e visto che la maggioranza dei posti dove si decide sono occupati da maschi?) i maschietti stanno decidendo chi tra Astorre, Gasbarra e Montino farà il segretario del PD Lazio e  a come convincerci che ci vuole esperienza per governare il partito della nostra regione, esperienza che alla fine hanno solo i vecchi e maschi.

Mi sono permessa di tirare le orecchie all’autorevolissima Silvia Costa, donna intelligente e che ammiro molto su alcuni temi, ma che ogni volta che interviene ci tiene a ribadire che il partito ha perso tempo su questioni radical-chic e fricchettone (leggasi le questioni omosessuali) trascurando famiglie e donne. La Costa non si è certamente accorta che a fare la battaglia sugli asili nido, tagesmutter del suo progetto compresi, furono i gay candidati alle regionali del Lazio e che nessun politico cattolico o candidata “di vecchia data” fece altrettanto. La Costa non sa che riconoscere i diritti ad una coppia omosessuale è una battaglia di civiltà e non da “fighetti”.Ha ragione quando dice che abbiamo perso fin troppo tempo a parlarne, ma vorrei che riconoscesse che la responsabilità di questa perdita di tempo è tutta di quelli che dicono di no ad una cosa che altrove, in Europa per esempio dove l’abbiamo eletta e spedita, fanno. Dica di sì così andiamo oltre e…veramente, una buona volta, si renda conta che i gay non sono dei ricconi borghesi che abitano a Monteverde vecchio, ma fanno anche gli operai a mirafiori, fanno figli, assistono i propri vecchi e prestano le cipolle alle vecchie vicine di casa. Tra l’altro i toni che usa Silvia Costa sono gli stessi dei maschi dei circoli inglesi che con tanto di sigaro in bocca liquidavano le suffragette come delle povere pazze minoritarie sostenendo che le donne non avevano alcun bisogno e voglia di votare.

Mi sono permessa di ricordare che decidere se dare o no soldi alle scuole private (e in quale forma e in quale contesto) è fattore dirimente di una politica al femminile.

Vorrei che le donne del mio partito cominciassero a dare gomitate nel partito. Non nelle conferenze. Voglio che i temi delle donne vengano obbligatoriamente trattati nelle sedi preposte, non delegati ad una conferenza.

Inoltre mi chiedo.

Sono una donna. Voglio fare politica. Sto già facendo troppe cose e non voglio accumulare inutilmente altre cariche o impegni perché vorrei fare poche cose e farle bene (e confesso ancora non mi riesce visto che ho un lavoro che mi occupa più di 10 ore al giorno). Se non sono nella conferenza non sarò più autorizzata a parlare di donne? Dovrò avere il patentino? Se domani decido di candidarmi a qualcosa, qualsiasi cosa, devo chiedere loro il permesso per essere una candidatura “donna”? Malgrado la buonissima fede di molte democratiche che stanno costruendo questo luogo per la disperazione dell’arretratezza che tali questioni hanno nel nostro partito, sono molto preoccupata che la conferenza divenga un luogo rosa dove applicare la rigidità correntizia.

Ma.

Siccome ribadisco la stima e la fiducia per molte che ci stanno lavorando prometto la mia totale collaborazione (di manovalanza) e soprattutto la mia sospensione di giudizio. Implorando però che non diventi un ufficio “timbra” pratiche femminili. Io continuerò a fare il mio senza chiedere il permesso. Come fanno gli uomini. In sostanza.

p.s. dire donna…ehm (devo insegnarlo io alle postsessantottine?), non significa dire famiglia e bambini….dire donna è dire libertà…anche di essere single, anche di essere libertina, anche, santo cielo, di essere lesbica. Impariamo a rispettarci.


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