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Riflessioni a caldo sui concorsi da ricercatore

Creato il 16 giugno 2011 da Goberiko

Oggi ho fatto il mio concorso numero 3 da ricercatore a tempo indeterminato (RTI). I numeri 1 e 2 sono andati male, nel senso che non mi hanno preso. Per coincidenza, in questi giorni un mio studente mi ha chiesto una lettera di referenza per il dottorato di ricerca all’Università di Manchester, così ho vissuto una doppia vita, di giudicato (ai miei concorsi) e di co-giuricante (referee, al “concorso” del mio studente).

Non voglio fare un discorso personale: sul mio blog non parlo di me per me stesso, parlo per tutti. Il problema è che il meccanismo dei concorsi italiani è sbagliato da un punto di vista sistemico. In questo post ve lo dimostro.

La mia esperienza nel campo di concorsi e application all’estero ad oggi è: 20 iscrizioni a concorsi da RTI tra fine 2010 e inizio 2011, 3 concorsi svolti con l’orale, 3 application negli Stati Uniti, 1 application in Gran Bretagna. Settori disciplinari: informatica, linguistica, scienze cognitive, variamente declinati.

Perché 20 concorsi da RTI? Perché nel momento in cui il decreto Gelmini è diventato legge gli Atenei italiani in fretta e furia si sono buttati a pubblicare gli ultimi concorsi possibili con le vecchie regole, per gli RTI. Sulla fregatura dei concorsi da RTD (ricercatori a tempo determinato) magari ne parlerò un’altra volta. Va da sé che si tratta di un prolungamento del precariato, per 3-6 anni.

Il limite di legge per il numero di concorsi a cui ci si può iscrivere per gli RTI in un anno solare è 15, da cui il numero 20, perché alcuni afferiscono al 2010, altri al 2011. Ciò significa che io e mia moglie abbiamo passato le vacanze di Natale a compilare allegati B e C di autocertificazione delle fotocopie in conformità all’originale. Io ho fatto più di 800 firme, tutte rigorosamente a mano, e ho pinzato ogni titolo, documento e pubblicazione.

A quel punto devi spedire in posta raccomandata uno o più pacchi, con una busta dentro l’altra, o separatamente, allo stesso ufficio oppure a due diversi, con una copia a ogni commissario o meno, nel mio caso 2,8kg di pubblicazioni e altro. Ognuno fa a sé, e bisogna leggere attentamente il bando. In un caso la ricevuta di ritorno l’ho ricevuta dopo la decorrenza dei termini di legge, per cui risulto che non ho spedito in tempo le pubblicazioni.

Teoricamente potrei fare ricorso al TAR, ma in pratica non ha alcun senso, perché il risultato non lo cambi, e ti inimichi l’intera comunità accademica dei tuoi colleghi presenti e futuri. In realtà questi trucchetti da baraccone vengono messi in atto perché il sistema è sbagliato, come dicevo.

Fate questo esperimento mentale. Siete il capo delle Risorse Umane di Google Italia, e mettete un annuncio per un posto da informatico a tempo indeterminato. Badate bene, non potete scrivere se volete un sistemista Unix, un programmatore Java o un esperto di computer grafica: potete solo dire genericamente informatico. Si presenta una marea di gente. Chi decide? Voi, assieme al capo delle Risorse Umane di Microsoft e IBM Italia. Perché se devo andare a lavorare nel posto X devono decidere due persone che sono nei posti Y e Z?

Assurdo un colloquio di lavoro così, non è vero?

Questo è precisamente quello che succede nei concorsi, con l’unica differenza che la responsabilità non è di nessuno, perché si tratta di un concorso pubblico. Non c’è possibilità di chiamata nominale: io professore ordinario decido che voglio il dott. Rossi anziché il dott. Bianchi. Se il dott. Rossi è bravo o meno, ci va di mezzo la mia reputazione di ordinario perché sono responsabile.

No, questo in Italia non è possibile.

Cosa succede allora, in pratica? La prima cosa che i commissari esterni fanno è di chiedere all’interno: vi interessa qualcuno? Questo non è sbagliato in linea di principio: in fondo, per i commissari esterni, si tratta di scegliere qualcuno che non lavorerà da loro ma da qualcun altro.

Si danno quindi tre casi:

1) Il commissario interno indica un solo candidato interno benvoluto dal Dipartimento. A questo punto, salvo casi eccezionali, si fa in modo che tale candidato vinca. Qui i miei amici più maligni mi citano l’algoritmo del cognome: inserisci su Google “[cognome candidato] [nome Ateneo]” e vedi se ci sono parenti diretti immanicati. Ma nella maggior parte dei casi è la scelta più naturale: un tuo studente bravo fa un dottorato, magari un assegno di ricerca, dà una mano nella didattica, è bravo, l’hai fatto crescere, perché non prenderlo come ricercatore, dopo magari 4-5 anni di precariato? Non si può chiamarlo, devi fare il circo del concorso.

2) Il commissario interno indica un solo candidato interno benvoluto dal Dipartimento ma il candidato interno vince da un’altra parte e ti lascia con un palmo di naso. A quel punto i giochi sono riaperti, e si guarda i curricula, e il colloquio.

3) Il commissario interno indica troppi candidati interni perché il Dipartimento è litigioso ed è diviso in fazioni agguerrite dove nessuna è dominante. Anche in questo caso i giochi sono riaperti, e si guarda i curricula, e il colloquio.

Nella mia esperienza di colloqui ti giochi tutto in 10-15 minuti massimo. A volte puoi parlare solo dei tuoi titoli (il tuo dottorato, le tue certificazioni), a volte puoi parlare di titoli e pubblicazioni, a volte ti chiedono esplicitamente come pensi di inserirti nel gruppo di ricerca del Dipartimento dove andresti, se dovessi vincere. Quest’ultima è la versione più onesta, ma non prevista esplicitamente dai regolamente. Insomma, ci vuole una commissione fatta di ordinari sportivi, il che non accade sempre. A me è accaduto una sola volta su tre.

I tempi di pubblicazione dei verbali sono nel mio caso circa 2 mesi. Nel frattempo tu vivi in un limbo nient’affatto piacevole.

Suona male, vero?

Adesso vi dico come funziona in UK & US.

Primo: chiedono specificamente il curriculum, non un informatico o un linguista generico. Se vogliono un esperto di algoritmi, un esperto di database nemmeno ci prova. Nessuno perde tempo inutilmente.

Secondo: si tratta di una application, non di un concorso. Compili uno o due moduli, spedisci il tuo CV via email in PDF, e loro ti mandano una mail con scritto “ricevuto tutto”. Stessa cosa per documenti, attestati, titoli, pubblicazioni. Nessuno spreco di carta e denaro: provate a stampare 2,8kg di carta che avete prodotto negli anni e vedrete quanto vi costa.

I tempi dei risultati? A volte vi danno una risposta esplicita per mail, altre volte deve passare una certa data, oltre la quale significa che non vi hanno preso. Semplice. Chiaro. Se piacete, vi chiamano per un colloquio faccia a faccia. Insomma, avrete un appuntamento con la persona responsabile di voi, con cui lavorerete.

Nelle application che ho fatto, a volte ho dovuto dichiarare il mio gruppo etnico (cosa francamente poco piacevole), ma quasi sempre ho dovuto dichiarare che non avevo parenti nell’Università a nessun livello, nemmeno uno che fa le pulizie, e se li avevo, dovevo dare i nominativi espliciti (anche di parenti acquisiti). Voglio dire, è importante che sia il candidato a dichiararlo, non che la commissione a scoprirlo.

Terzo: ci vogliono 3 lettere di referenza. Si tratta di raccomandazioni esplicite, dove il referee mette in gioco la propria reputazione. Per i referee meno esperti, ti danno anche il manuale di istruzioni, così sai cosa vogliono sapere.

Questo l’ho estratto da un modulo per corso di dottorato inglese:

Riflessioni a caldo sui concorsi da ricercatore

Non è tutto molto di buon senso? Non mi sembra né strano né difficile né contorto, il mondo angloamericano.
Non so se prenderei di peso il modello: quel che è certo che i principi che stanno dietro, no perditempo e responsabilità del giudicante, quelli andrebbero presi davvero.

Sul serio.

E subito.

Altrimenti ce ne andiamo. Non è fuga dei cervelli, è conservazione della specie.


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